Catania

5 gennaio come la festa di Sant’Agata: Pippo Fava ridotto a brand ed epifenomeno della catanesità

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Scriveva Pippo Fava che Catania è una “puttana”, una prostituta abituata a vendersi per denaro al primo che passa, in coerenza con la natura di una città e dei suoi abitanti.

Lo scriveva mentre gran parte della città che –da morto- finge di omaggiarlo, all’epoca, invece, lo metteva ai margini quando non lo disprezzava apertamente.

Fava, infatti, non apparteneva a nessuna parrocchia, soprattutto non era comunista. Si dichiarava “socialista senza tessera”, un tempo era stato anche qualunquista: insomma, era un intellettuale. “Colpa grave” nell’Italietta di ieri e di oggi: costa tanto la libertà, costa soprattutto quando si vive in città mostruose come Catania, popolate da abitanti cinici, violenti, capaci potenzialmente di “uccidere” una persona con una parola come con una diffamazione, con una calunnia come con un cenno del capo. Di tempo dal 1984 ne è passato tanto, ma alcune abitudini –quelle più legate alla loro natura di fenici privi di scrupoli- dei catanesi sono ancora vive. Una di queste certamente è l’omaggio finto: un mix di liturgie costruite, di ipocrisia appena celata dietro parole di rito, di piccole convenienze di provincia.

Da tempo, il 5 gennaio è diventato parte della catanesità. Che significa essere integrati nei riti di un posto dove tutto è misurato in soldi, o quanto meno in convenienze, piccole o grandi.

Sembra paradossale, ma una figura come quella di Fava, vissuta intensamente negli anni del giornalismo e poi rivendicata da una minoranza degli abitanti di Catania nella prima fase dopo l’omicidio mafioso, è progressivamente divenuta parte integrante della città che lo aveva disprezzato e calunniato. Contro Catania aveva scritto Fava a lungo, con un’opera di denuncia civile di stampo europeo (in una terra dove l’illuminismo non è stato storicamente vissuto nella sua integrità, anzi più spesso è stato visto con diffidenza se non con odio) e con Catania è finita la parabola del post- omicidio mafioso. Con Catania e la catanesità. Quindi, da tempo 5 gennaio è sinonimo di riti, di “momenti ecclesiastici” guidati da “parrocchiani” del “Verbo”: può capitare sotto la lapide (con annesso omaggio del Comune) che ricorda l’uomo, può capitare al corteo che in base al momento politico può inveire contro la Lega come contro la Meloni (ma che c’entra?). Quest’anno, invece, siamo arrivati alla Santa Messa in Cattedrale e ad un appuntamento sul tema dello “scrivere”: insomma, siamo a metà strada fra la “sacralità” dei cattolici all’italiana e il solito “salotto buono” dei benpensanti. Sembra di rivedere la festa di Sant’Agata, la festa della patrona, dove la catanesità si mostra al suo massimo, a metà fra delirio mistico e delirio affaristico.

Ma Pippo Fava dov’è? E no! Prima le convenienze, prima il brand, prima il merchandising delle idee e delle convenienze. Insomma, prima la catanesità; che vuole soluzioni di compromesso, mediane sempre e comunque, mai nette. Insomma, contro Ciancio e con Ciancio, contro i vecchi Cavalieri ma non contro i “nuovi” Cavalieri, contro Santapaola ma dimenticandosi degli Ercolano (vedi link dello scorso anno, in basso) e del loro ruolo dominante da tempo, insomma non contro il “potere occulto” (mica tanto) che governa la città con i “nuovi” comitati d’affari, che ormai non negano nemmeno dentro il Comune di Catania.

E Pippo Fava dov’è? Dov’è il drammaturgo? Dov’è l’autore di romanzi? Dov’è l’uomo di teatro, perché Fava era prima di tutto un uomo di teatro. Straordinariamente di teatro. Ma serve alla catanesità questo aspetto letterario dell’esperienza umana di un figlio dell’Italia del Sud? No!

E del giornalismo? Dei giornali fondati, di quelli diretti come potevano scrivere anche i “fascisti”? Già, perché Fabio Tracuzzi poteva scrivere su “I Siciliani” un bellissimo servizio sull’Amatori Catania e sull’attività sociale del camerata Benito Paolone durante la direzione del laico-socialista Pippo Fava: poi, dopo il suo omicidio mafioso? “O con noi o contro di noi”: questo è il messaggio che passò. Quando la sinistra settaria arriva ai vertici finisce sempre così. Finisce con i premi alle “persone giuste” nell’atmosfera di un club-service dove ci si applaude a vicenda, con la selezione dei “buoni e dei cattivi”, con le calunnie contro chi non fa parte della “Caserma dell’Antimafia”, con il “respingimento” in nome delle convenienze, pardon delle koerenze. Dentro il 5 gennaio, così, si è andato progressivamente costruito un “baraccone antimafioso”, uno “show annuale” che ha stravolto la figura di Fava e il senso di un impegno letterario, civile ed umano, per essere strumento, invece, di piccoli e grandi carrierismi, di omaggi editoriali “giusti”, insomma di un’opera utile per riposizionamenti vari.

La “puttana” Catania alla fine ha vinto anche stavolta. Ingoiando tutto.

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Benanti

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