5 gennaio Fava: la liturgia si tramuta in satira involontaria


Pubblicato il 06 Gennaio 2019

Sul palco del premio dedicato alla memoria dell’intellettuale ucciso dalla mafia un giornalista de La Sicilia di Ciancio (sotto processo per concorso esterno, con il giornale sotto amministrazione giudiziaria) ed esponenti (vedi Don Ciotti) non estranei (assieme al giornalista) al consenso/coinvolgimento del “sistema Montante”. E mentre tutto questo accade, dalla “sinistra radicale” arrivano insulti e minacce…contro Fabio Cantarella. Accusato di leghismo.

Dopo 35 anni, anche il 5 gennaio mostra i segni del tempo: l’anniversario dell’omicidio mafioso (mafioso nella “professionalità” del delitto, mafioso nella non identificazione degli eventuali “mandanti occulti”, anche alla luce di una sentenza di Cassazione della vicenda che lascia più di un dubbio) di uno dei pochi intellettuali veri che Catania ha avuto (anche se Fava catanese di nascita non era, in quanto originario della provincia di Siracusa -Palazzolo Acreide-per l’esattezza) si conclude lasciando dietro di sé un’immagine in linea quasi perfetta con la condizione della città.

Catania non è più come una volta un luogo dove il “Male” e il “Bene” sono identificabili con nettezza: i ruoli di una volta sono da tempo saltati (a parte i soliti cento o quasi, dai capelli sempre più bianchi, che popolano, da anni e anni, le foto sotto la lapide nel luogo del delitto) La mafia militare (buona per le carriere di funzionari statali e giornalisti istituzionali) è in declino, la politica è degradata a basso sottogoverno senza progetto, l’economia è agonizzante (in un “deserto” occupazionale si sono aggiunte le crisi della Cmc e del gruppo Abate), i professionisti della “Catania bene” si spartiscono quel poco che resta di incarichi e occasioni di guadagno privato, la società civile è in coma, la sinistra o quella che dovrebbe essere la sinistra è ridotta all’inconsistenza politica e culturale, senza nemmeno un rappresentante in consiglio comunale, capace solo di avvinghiarsi attorno a simbologie (l’antifascismo come l’antimafiosità vissuta come museo archeologico da custodire militarmente).

La mafia come Potere economico è lontana dall’essere sconfitta, per non parlare di quella a volto istituzionale (annidata soprattutto nella pubblica amministrazione).

In questo quadro, tutto è meno definito: capita così che alla per il premio Fava sia chiamato dagli organizzatori (l’on. Fava in testa) un giornalista dalle ottime doti come Mario Barresi. Ma che lavora in un giornale sotto amministrazione giudiziaria, con il suo storico editore -Mario Ciancio- sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa e con un misure di prevenzione in appello dopo un sequestro-confisca multimilionario. Nulla di personale contro Barresi, solo la constatazione che il tempo cambia e le cose mutano: la “guerra di religione” praticata per anni dal “Comitato Centrale della Verità Antimafiosa” ovvero dall’entourage faviano contro Ciancio (e “gentilmente” ricambiata da Ciancio con ostracismi altrettanto illiberali) sembra essere finita. Grazie all’ “editore monopolista” della Catania di oggi, ovvero la Procura della Repubblica.

Insomma, anche il “Comitato Centrale della Verità Antimafiosa” si è laicizzato? Sembra di sì, chissà perchè. Saranno state le esigenze -come dire- contingenti dell’on. Fava o altro (la lettura possibile della realizzazione di una nuova “stagione progressista” de “La Sicilia” privata del suo “Monarca Assoluto”) sul palco de “Verga” si è vissuto un momento di novità. Di satira involontaria visto che Pippo Fava è da decenni un’icona dell’immaginario antimafioso?

Chissà, peccato per lui, per chi non c’è più e non può difendersi dalle “privatizzazioni striscianti” (al corteo se non sei di sinistra doc, come Fabio Cantarella -accusato di “leghismo”- finisci quasi scaraventato via dalla piazza, in uno squallido quadretto squadrista. E a nulla vale spiegare che tu sei là non come assessore ma come semplice cittadino) e “appropriazioni ideologiche” di fatto che ha subito, lui che da autentico laico, aveva dichiarato in occasione del lancio del “Giornale del Sud” (1980): “non siamo né contro né a favore di qualcuno, siamo contro il Potere inteso nel senso più becero del termine, siamo per la libertà dell’uomo”.

Di satira involontaria è certamente la scena che vede da un lato l’intervento, nell’avvio della serata del teatro“Verga” per il premio (andato al giornalista Giovanni Maria Bellu), di Claudio Fava sul “sistema Montante” davanti a due persone, due ottime persone, quali Mario Barresi e Don Luigi Ciotti che, soprattutto in una prima fase, non sono stati estranei alla fascinazione e alle lusinghe di quel “sistema” (per chi volesse approfondire basta vedere la puntata di Report sull’ “apostolo antimafia” e leggere spunti giornalistici -come quelli dell’ “immorale” Ignazio De Luca- in relazione all’indagine di Caltanissetta).

Poteva poi mancare il magistrato “combattente” per la Costituzione? No, giammai. Ecco, allora, la performance -applaudita a scena aperta dal “ceto medio” riflessivo, diffuso in ex partiti e movimenti di sinistra diffusa dentro il “Verga”- del giudice in pensione Armando Spataro: basta mettere la faccia di Salvini al posto di Berlusconi e il gioco è fatto, l’applauso “resistente” è servito.

Tanto per cambiare -o per fare satira?- in una città dove la giustizia è sempre e solo una beffa per i più poveri e quelli a basso status (un tempo oggetto dell’attenzione a sinistra), dalla stessa sinistra si subisce ancora la fascinazione perbenista della “magistratura che resiste”. In nome della Costituzione. Cioè di valori e principi che al Palazzo di “giustizia” di Catania (e non solo) continuano ad essere calpestati ancora oggi dal quel Potere fuori controllo che si chiama magistratura.

Peccato che nessuno, poi, ricordi che quando a Catania si combattè l’ultima vera battaglia contro il Potere (la Procura della Repubblica finto progressista incarnata dagli intrecci correntizi a targa Unicost) Armando Spataro fu brillante avversario del Presidente Giambattista Scidà. Ma questo manca nei “furenti documenti” della “sinistra radicale”. E manca anche alla memoria del “Comitato Centrale della Verità Antimafiosa”.

Insomma, mentre “si combatte” animatamente contro il leghismo (dopo la decisiva battaglia contro il berlusconismo) i Poteri di Catania possono dormire sonni tranquilli: il ruolo di conservazione delle finte opposizioni (di sinistra come di destra) è confermato.

Per fortuna, qualche mese si vota (stavolta sono le Europee), vuoi vedere che il 5 gennaio forse è servito anche stavolta ai soliti furbi, quelli più impercettibilmente furbi, anche stavolta “mascherati” sotto le mentite spoglie di idealisti senza tempo?

 

 


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