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5 gennaio: febbraio 1983, i “fascisti” su “I SIciliani”. Direttore Giuseppe Fava
Pubblicato il 04 Gennaio 2025
Dalla penna di Fabio Tracuzzi un pezzo di giornalismo d’altri tempi sul rugby e il senso della presenza dei “neri” dell’Amatori Catania in un “quartiere-lager”. Il tutto su una testata laica. Prima della sua trasformazione in altro...
Il rugby redime i ragazzi violenti del ghetto (Da “I Siciliani” febbraio 1983).
Di Fabio Tracuzzi
Dal quartiere-lager di Santa Maria Goretti a Catania venivano fuori soltanto teppisti e malviventi. Grazie all’Amatori è diventato uno dei vivai più ricchi dello sport nazionale
Sorge proprio a due passi dall’aeroporto. Una carta da visita davvero poco edificante per una città come Catania, una città che ha nutrito pretese industriali e di città guida del Meridione. Chi non conosce Catania, dunque, non conosce questo “villaggio” che prende il nome da una santa, Maria Goretti.
In realtà, il villaggio di Santa Maria Goretti per molti altro non è che un ghetto, uno dei tanti che stringono d’assedio Catania come San Berillo, villaggio S. Agata, Fortino, Nesima. Un ghetto, un centro abitato dove i più fortunati abitano in vecchie case popolari, umide, con i servizi in rovina, spesso addirittura fatiscenti. Altri si arrangiano in baracche costruite con lamiere e cartoni. Luce e acqua corrente non sono un bene di tutti anche se adesso enormi palazzoni in cemento stanno sorgendo in mezzo alle baracche.
Dire ghetto sarebbe forse inesatto, meglio definirli “lager” che non hanno alcuna connessione con la vita autentica della città.
Nuove case in vista, ma nuove case che sorgono già in mezzo alla sporcizia, in mezzo al fango. Nuove case che forse forniranno una sistemazione migliore agli abitanti del Villaggio, un tetto più solido e meno umido, ma in verità questi giganteschi palazzi, grigi, anonimi come caserme, danno l’idea di un paravento, una specie di immenso fondale dietro il quale si nasconde la miseria e spesso la depravazione umana. C’è una considerazione molto amara da fare: la città praticamente accetta questi lager, li considera naturali, ritiene che siano il posto giusto dove possono vivere alcune decine o centinaia di migliaia di persone. Subcittadini. Gli abitanti del Villaggio vengono considerati della classe più borghese di Catania emarginati che vivono il loro giusto destino di emarginati. E’ un fenomeno di dissociazione sociale che accadde in quasi tutte le città italiane, ma a Catania tutto questo appare ancora più triste ed evidente.
E allora nasce spontaneo uno spirito di ribellione, ribellione il più delle volte violenta, ribellione che ha portato tanti giovani del villaggio, e tanti altri ne porterà, in galera. Hanno rubato, hanno scippato. Anche loro sentivano il diritto di vivere in maniera più dignitosa, non volevano essere degli emarginati per forza e per uscir fuori hanno scelto l’unica strada che conoscevano, quella che hanno imparato dai fratelli, dai padri, dai nonni. Una strada, però, senza sbocco alcuno. Ma questo, a loro, nessuno lo ha mai spiegato. A due passi dall’aeroporto dicevo. Ma ancora più vicino c’è il campo di rugby di Fontanarossa. Più per curiosità che altro questi giovani hanno cominciato ad avvicinarsi (i primi lo fecero venti anni addietro), a frequentare questo campo di gioco. La curiosità era eccitante: quell’immenso spazio verde in mezzo al quale si allenavano, correvano, si affrontavano, decine di ragazzoni pieni di muscoli, vestite di splendide magliette. E picchiandosi lo facevano con grande coraggio e soprattutto con grande allegria. Questa allegria, cioè questa capacità di stare praticamente dentro una cosa violenta, senza però odio, ma quasi con una sorta di gioia agonistica fu probabilmente la cosa che colpì subito i ragazzini. E contemporaneamente quel pallone che non aveva alcuna somiglianza con quello agognato da sempre del football. Per conquistare e portare quanto più avanti questo strano pallone di foggia ovale che rimbalzando sfuggiva da tutte le parti, appunto da botte da orbi. Una vera e propria battaglia su un campo di gioco. Un gioco, quello col pallone ovale, che rispecchiava in maniera incredibile le condizioni di vita giornaliera di questi giovani del villaggio. Esser più forti degli altri, più furbi, più veloci per non soccombere o meglio, per sopravvivere. Una battaglia senza rischi di galera ma pur sempre una battaglia contro l’emarginazione.
E fu così che il villaggio di Santa Maria Goretti cominciò lentamente, quasi fatalmente a diventare il vivaio più ricco del rugby catanese, un spazio prodigioso del territorio cittadini dove uno sport cominciava a diventare un autentico sistema di vita, anzi una regola per i rapporti umani, uno sfogo per l’immensa carica di violenza repressa. Sempre più spesso nelle piazze e nei vicoli di questo villaggio, nei prati e nei cortili si cominciarono a vedere ragazzini correre, affrontarsi e giocare con un pallone ovale, magari rubacchiato su qualche campo. E quasi sempre sono partite giocate con l’ accanimento e la violenza di autentiche partite. I pali, è vero, sono immaginari, ma i placcaggi sul quel fondo non certo morbido sono reali e talvolta addirittura spietati.
Non a caso, proprio in quella zona, venne progettato dieci anni addietro, un nuovissimo impianto comprendente tre campi di rugby illuminati, una tribuna sul campo centrale per settemila persone e una palestra coperta. Per otto anni questo impianto, dopo che i lavori erano stati iniziati come sempre in pompa magna, con autorità, bandiere e discorsi ufficiali, restò una delle numerose incompiute di cui, ancora oggi, è piena Catania.
Tutto per otto lunghi anni è rimasto a metà; i finanziamenti che non arrivavano mai e quando arrivavano erano insufficienti rispetti ai nuovi costi del lavoro. Oggi, con dieci anni di ritardo, la promessa fatta agli abitanti del villaggio è stata finalmente mantenuta. L’impianto è ultimato ed è splendido. Verrà inaugurato a metà maggio con l’incontro di Coppa Europa tra Italia e Unione Sovietica.
Un impianto che porterà lustro a tutto il villaggio. Molti ancora non ci credono, i più piccoli quando hanno saputo che presto a Santa Maria Goretti verrà a giocare la nazionale hanno sgranato gli occhi ed uno di loro ha chiesto con divertente ingenuità: “Ma quale nazionale, quella di tutta Italia?”
Nel nuovo campo di Santa Maria Goretti stanno adesso lavorando per le ultime rifiniture. Tutto sembra pronto, le tribune ultimate e issati i pilastri dell’illuminazione. Splendido manto erboso. C’è solo da augurarsi che il tutto non duri lo spazio di una partita. Anche il campo di Fontanarossa quando venne inaugurato aveva un manto erboso da far invidia (anche se non ci vuole molto) al Cibali ed oggi è invece ridotto ad una vera e propria petraia dove fare sport e rugby in modo particolare diventa impresa ardua oltre che pericolosa.
Aspettando la piena funzionalità del nuovo impianto questi giovani continuano a giocare sulla strada, in mezzo ai sassi, sul selciato, sui prati, centinaia di ragazzi che la sera tornano a casa scorticati, talvolta sanguinanti ma felici e con un grande sogno dentro: fare parte di una delle tante squadre dell’Amatori. In realtà la società finora ne ha reclutati più di cento inquadrandoli nelle varie compagini che partecipano agli innumerevoli tornei e campionati giovanili regionali e nazionali. “Il vivaio del ghetto” disse scherzando tempo addietro Turi Giammellaro. Una vivaio che ha dato all’Amatori fior di giocatori, i due fratelli BalboAngelozzi, i due fratelli Caruso, Luca, Lentini, Finocchiaro. Hanno giocato e giocano tutti in serie A e qualcuno è anche stato convocato in nazionale.
Tutti hanno una dote in comune: un coraggio che spesso sfiora l’incoscienza; è la rabbia di coloro che, incolpevoli, hanno ricevuto il marchio di emarginati e in quale maniera hanno dovuto tentare con la violenza, con la temerarietà, la riconquista della città.
Il rugby, l’Amatori, ha rappresentato per questi ragazzi la prima tappa importante della loro vita. Hanno imparato ad aver fiducia nel prossimo, ad esser sinceri e leali, perché nel gioco del rugby sono due doti queste fondamentali, hanno soprattutto imparato che soltanto lottando, ma in maniera costruttiva, riusciranno a dare un senso civile, un significato autentico alla loro vita ea quella dei loro figli. E soprattutto una possibilità di inserirsi alla pari, anzi da combattenti e qualche volta da vincitori in una società che li aveva sempre sordidamente ignorati e spesso addirittura rifiutati. L’Amatori, la società Amatori, non ha mai pagato questa gente. Ma ha dato loro molto di più.
Ha dato loro un aiuto morale non indifferente, ha dato loro lavoro, li ha mantenuti all’università. Molti sono diventati insegnanti di educazione fisica molti altri allenatori le squadre giovanili, oggi numerose a Catania e provincia. Adesso non subiscono la vita e il loro destino, me ne sono diventati protagonisti. E dal ghetto il rugby catanese si è sviluppato abbastanza in fretta; un’espansione lenta ma graduale che soltanto adesso sta offrendo i suoi frutti migliori. Spesso tecnicamente prodigiosi.
E grazie a questi giovani l’Amatori è riuscita a centra un obiettivo impagabile dal punto di vista sportivo: schierare in massima serie una squadra composta sempre da giocatori tutti catanesi. Un traguardo mai raggiunto da nessun altro. E il secondo posto conquistato nello scorso campionato è un secondo posto tutto catanese, un secondo posto conquistato grazie anche all’apporto di giovani che senza rugby oggi sarebbero forse ancora per le strade a fare scippi o, addirittura, già rinchiusi in galera.
E’ questo certamente un miracolo dello sport, u miracolo che quasi nessuno conosce e che invece meriterebbe di essere portato ad esempio di quanto possa dal punto di vista della evoluzione, lo sport. Oggi Santa Maria Goretti vive soprattutto di rugby, questo sport è entrato nel sangue degli abitanti del villaggio. Tutti ne conoscono le regole, tutti seguono la squadra. Oggi Santa Maria Goretti non è più ghetto grazie a questi ragazzi che hanno ridato agli abitanti del quartiere una lezione di vita.
Anche la vecchie baracche sembrano meno tristi, in molti hanno cambiato le tradizionali targhette dei nomi con delle altre a forma di palla ovale sullo stile dei village inglesi dove il rugby è come una religione.
E a proposito dei village inglesi vive subito alla mente un ricordo. Antonio Failla, fratello di Pio, è che attualmente gioca con il Petrarca di Padova, quando esordì in serie A con la maglia dell’Amatori disputò una gran bella partita. Uno degli avversari a fine gara volle complimentarsi con questo giovane dalla carnagione scurissima e gli chiese dove avesse imparato a giocare così bene. Antonio Failla, senza esitare, risposte: “O villaggiu”. Quel giocatore pensò che il giovane Failla non sapesse ben pronunziare l’inglese e lo corresse: “”Vuoi dire un village; sei stato in Inghilterra. Bravo, e in quale village ha studiato?” E Failla più sorpreso che altro: “Ma quali Inghilterra, imparati o villaggiu, a Santa Maria Goretti a Catania”.
Già, “u villaggiu”. Oggi è sinonimo di rugby, rugby è sinonimo di felicità, di gioia di vivere.
Gioia di vivere. Uno dei fratelli Balbo, lo scorso anno, giocando una partita amichevole contro i francesi del Nizza riportò un incidente che stava per costargli la vita. Gli fu asportata la milza dopo una pericolosa emorragia interna. Per lui i medici diagnosticarono: “Vivrà, ma senza più giocare al rugby”, Per Balbo quelle parole suonarono come una condanna. “Che senso ha la vita senza poter giocare a rugby? Ce la farò a giocare, devo farcela”, andava dicendo a tutti con la forza della disperazione.
E Balbo, un ragazzo del villaggio ha vinto anche questa battaglia. Un anno di sacrifici, di visite mediche, di diete durissime che continuano ancora oggi e che continueranno tutta la vita. Poi il responso della commissione medica di Roma e il tanto atteso nulla osta. Balbo è tornato a giocare con più coraggio di prima.
Si tratta di un semplice episodio. Una storia di vita ma che definirei sintomatica di un modo di vivere e di concepire la vita. Dallo sport, dal rugby, dall’Amatori questi ragazzi hanno avuto tutto. Smettere di giocare significherebbe tornare nell’anonimato. Vivere la vita del villaggio senza il rugby, per chi vive il rugby come lotta quotidiana e come possibilità di realizzazione esistenziale sarebbe come tornare a morire. Nel ghetto, nell’emarginazione, i giovani dell’Amatori non vogliono più tornarci.,
La battaglia per la vita iniziata dall’Amatori più di venti anni addietro non si è certo conclusa. Adesso la nuova dirigenza, con in testa il presidente Wladimiro Della Porta, grazie alla stretta collaborazione dei “vecchi” come Paolone, Granata, Giammellaro, Castagnola, Attanasio e altri stanno cercando di realizzare un vecchio progetto e cioè quello di un centro di addestramento per il rugby su scala regionale.
Le basi ci sono già e il nuovo campo di Santa Maria Goretti costituirà la base per il nuovo, grande, ambizioso progetto. Il tutto sarà gratuito. Non si pagherà alcuna retta. Lo sport, almeno il rugby, a Catania continua ad essere uno sport aperto a tutti. Soprattutto ai giovani più poveri, soprattutto a coloro i quali cercano nello sport una via per dare un senso e una dignità all’esistenza.
Fabio Tracuzzi.
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