58esimaedizione del Premio Campiello: rivelata la cinquina finale

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di Gian Maria Tesei.

In clima di Covid 19 anche il rituale che permette di  svelare le candidature del famoso “Premio Campiello”, subisce delle variazioni, essendo state le nomination dissuggellate, non all’ Università di Padova, nell’Aula Magna del Bo aperta al pubblico, ma appoggiandosi su Rai5, al programma “Terza pagina”, condotto da Lucia Troisi e con il presidente della giuria dei letterati, Paolo Mieli, a rendere noti i nomi dei cinque finalisti del Super Premio.

Sicuramente le norme sanitarie imposte dall’emergenza Covid 19, hanno imposto l’assenza del dibattito, mentre interessanti sono stati i collegamenti con gli ospiti coordinati dalla conduttrice, non intaccandosi quindi il fascino di un premio letterario che sin dal 1962, fortemente voluto dall’imprenditoria veneta, sotto la spinta della famiglia Valeri Manera, tributa ogni anno gli onori a prodotti dell’arte scritta del genere narrativo dell’anno considerato.

La giuria della 58esima edizione del Premio che ha scelto i finalisti, scremandoli da un nutrito novero di aspiranti alla vittoria costituito da ben duecento testi letterari accettati al concorso, è capitanata dal suddetto saggista e giornalista Paolo Mieli, che presiede un consesso di importanti membri del contesto accademico e letterario quali: Daniela Brogi, Luigi Matt, Ermanno Paccagnini, Federico Bertoni, Silvia Calandrelli, Roberto Vecchioni, Philippe Daverio, Lorenzo Tomasin, Chiara Fenoglio ed Emanuele Zinato.

La cinque candidature, sorte dall’attività della giuria, hanno portato alla determinazione dei seguenti cinque nomi: Patrizia Cavalli, “Con passi giapponesi” (Einaudi, 7 voti al 1° turno); Sandro Frizziero, “Sommersione” (Fazi, 7 voti 2° turno); Francesco Guccini, “Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto” (Giunti,6 voti 3° turno); Remo Rapino, “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” (minimum fax, 7 voti 4° turno); Ade Zeno,“L’incanto del pesce luna”(Bollati Boringhieri, 7 voti 4°turno).

Come si desume dalle votazioni Patrizia Cavalli ha ottenuto grande consenso ed accanto a lei si staglia, tra  gli altri, anche la figura di un grande della musica italiana, qual è Guccini, noto al grande pubblico per la sua voce inconfondibile ed il suo amore per la chitarra folk e che nella sua carriera(che si estende su più di quattro decenni),oltre anche all’impegno politico, ha saputo prodursi in colonne sonore, musiche e canzoni, per sé e per altri cantanti, appassionandosi di ambiti afferenti alla letteratura ( ad esempio la glottologia) e, realizzando vari scritti, il cui primo, del 1989, intitolato “Cròniche epafàniche”, è stato un grande successo letterario.

 “La chiave della nostra cinquina è questo libro scardinante”, ha detto lo stesso Mieli riferendosi all’antologia di prose della Cavalli, sicuramente una delle maggiori esponenti della poetria attuale, che nel suo prodotto scritturale ha riversato il suo stile che si traduce in raffigurazioni emozionali, immagini e elementi, stati e moti dell’animo, che non la rendono catalogabile od assimilabile ad altri soggetti.

La giurata Daniela Brogi ha sottolineato come, tutti i libri scelti si imperniano su personaggi “irregolari, scorretti e visionari” e come questo si riverberi e si riscontri anche nel linguaggio adottato che fa appello ,sempre in modo però coerente a questo carattere dell’<<irregolarità>>, per gli autori (come evidenziato anche da Luigi Matt, altro membro della giuria), al vernacolo ( Guccini), all’italiano popolare ( Rapino), all’italiano della tradizione ( Frizziero) od ad arcaismi (Cavalli e Zeno), fornendoci una sorta di mappa significativa anche di molti altri testi letterari esaminati per il Premio. E questa visione ha veduto concordi anche gli altri componenti della giuria, con Chiara Fenoglio che ha asseverato il concetto aggiungendo come si tratti di “opere che provengono dai margini della società, dai margini di una visione non standardizzata, ma multiforme e prismatica”.

E ciò si avverte nel testo di Guccini, che narra la storia e le storie antiche della sua terra, movendo da “Radici”, una delle ballate che compose nella fase iniziale della sua carriera. E lo si coglie nel libro di Rapino  dove, il protagonista, Liborio Bonfiglio, erra in un paese dal nome a noi sconosciuto e viene dileggiato e canzonato da tutti facendoci la narrazione di un ventesimo secolo, senza tempo, vivificato da una serie di figure umane indelebili.

Lo si sente nel libro di Zeno, in cui onirismo e senso del tetro, crudezza e corporeità si uniscono, con il protagonista, Gonzalo, che assomma al suo lavoro di cerimoniere per una sala del commiato di una grande Società per la Cremazione, quello di colui che procura vittime alla Signorina Marisol che lo pagherà tanto profumatamente da poter ricoverare, in una clinica costosissima, la figlia colpita da una misteriosa malattia  che l’ha condotta allo stato di coma.

Ed emerge anche in “Sommersione” di Frizziero, con un pescatore di ottant’anni, che vive in un’isoletta dell’Adriatico e che è venato da una strana malinconia, da un’asprezza anche cinica e da un’interiorità fatta anche di infelicità ed assenza di comunicazione emotiva con il mondo esterno in quanto immerso nella sua visione cruda e cattiva dell’attorno, inconfutabile perché non rapportata ad altre, in un contesto ambientale comunque velato d’amaro, rustico ed acre.

Mentre è già stato attribuito il Campiello Opera Prima a Veronica Galletta, con “Le isole di Norman” (Italo Svevo), in autunno saranno i trecento giurati popolari a dare il verdetto finale, a Venezia, a questa particolare edizione del Premio.

 

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