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Affari e mafia, processo Scuto: quando Provenzano disse “i Despar sono di interesse dell’associazione”
Pubblicato il 16 Novembre 2012
Nuova udienza del processo d’appello al “re dei supermercati”…
di iena giudiziaria, Marco BenantiUn gigantesco affare in tutta la Sicilia: quello della grande distribuzione “made in Cosa Nostra”. Interessi faraonici, un fiume di denaro, con annessi occasioni di fatturati in salita per le imprese dell’indotto e assunzioni “di favore”, il tutto gestito dai vertici della mafia siciliana, dai Lo Piccolo a Provenzano, dai Laudani ai Santapaola: dietro facce pulite, quelle di alcuni imprenditori, nello specifico Sebastiano Scuto e Giuseppe Grigoli. Questa, in estrema sintesi, il quadro che emerge, udienza dopo udienza, dalle parole della requisitoria del sostituto procuratore generale, Gaetano Siscaro, al processo di secondo grado, in corso davanti alla prima sezione della Corte d’Appello di Catania, contro il “re dei supermercati” di Sicilia Sebastiano Scuto.Stamane, dopo le udienze del 31 ottobre e del 9 novembre scorso, Siscaro ha continuato sul filone dei paventati collegamenti palermitani in tema di grande distribuzione. Il tema di fondo di stamane è legata alla cosiddetta “sovrapponibilità” fra la situazione catanese e quella palermitana: stesse dinamiche, analoghi interessi mafiosi. Nella penultima, il quadro era stato ricollegato alla parola “disponibilità economica” a significare una serie di rapporti e di calcoli di convenienza seguiti dai protagonisti di questa trama affaristico-mafiosa nell’intrecciare relazioni e fare scelte, senza “imposizioni” secondo lo schema dell’imprenditore “estorto” che l’Accusa esclude sulla base delle risultanze dell’inchiesta. Risultato: la “spartizione” del mercato palermitano.
Secondo l’ipotesi accusatoria, da un lato, Sicilia Occidentale, il nuovo “capo dei capi” Matteo Messina Denaro rappresentato da Giuseppe Grigoli, dall’altro la Sicilia Orientale con il gruppo Santapaola-Laudani e Sebastiano Scuto. Al centro dell’affare i supermercati, i centri commerciali ad insegna “Despar”, che –ha sottolineato oggi Siscaro- interessavano in tutta la Sicilia a Cosa Nostra, come emerge –nella prospettazione dell’Accusa- anche dai pizzini, oltre che dalle parole dei “pentiti” del rango di Nino Giuffrè. E’ lo stesso “capo dei capi” Provenzano a dirlo chiaramente, quando viene chiamato per una sorta di “arbitrato” in tema di “pizzo” da pagare per “competenza territoriale”. Insiste Siscaro proprio sull’interesse generale di Cosa Nostra, riguardante tutta l’Isola per i supermercati a marchio “Despar”. L’affare è gigantesco: fa aumentare fatturati delle imprese dell’indotto, come nel settore trasporti, produce occasioni di assunzioni di persone ritenute vicine all’ambiente mafioso.
Insiste su questo la Pubblica Accusa e rinnova, come già fatto nelle scorse udienze, critiche piuttosto energiche alla sentenza di primo grado, che –ripete più volte Siscaro- fino a pag 800 descrive Scuto in un certo modo, ovvero partecipe dell’associazione mafiosa dei Laudani e poi quando si spinge a trattare dei collegamenti palermitani (Scuto per questi è stato assolto) quasi si dimentica del personaggio tratteggiato nelle precedenti pagine. Nella penultima udienza, del resto, il Pg aveva sottolineato che la critica alla sentenza di primo grado –che sarebbe contraddittoria fra prima e seconda parte- è da considerarsi sul piano della valutazione.Ma non solo, ci sono episodi davvero inquietanti, per altro già emersi in primo grado: come il supposto tentativo di corruzione del Pm emerso dalle parole del collaboratore Eugenio Sturiale, che chiama in causa sul tema anche personaggi del calibro di Aldo Ercolano.In sostanza, l’ipotesi dell’Accusa è quello di una sorta di holding commercial-mafiosa dove spuntano nomi del Gotha di Cosa Nostra, dai Santapaola, ai Lo Piccolo a Provenzano. Un fiume di denaro. E che avrebbe comportato spartizioni di territori, sfere di influenza, intrecci societari dalla Sicilia alla Calabria. Dietro l’affare dei grandi supermercati, dei centri commerciali. Un capitolo dell’Accusa già trattato in primo grado e inserito con un’attività integrativa d’indagine. Scuto sarebbe stato, al pari dell’imprenditore Giuseppe Grigoli, al centro di questo grande affare e delle relative spartizioni d’influenza. Sulla scorta di pizzini e di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, emerge -nella prospettazione dell’Accusa- lo “stop” alla richiesta di “pizzo” in occasione di aperture di attività commerciali riferibili a Scuto. Che scuote la testa per tutta l’udienza, a respingere, come sempre fatto, le accuse che gli piovono addosso. Intanto, l’ 8 febbraio prossimo, in Cassazione, sarà chiamato ancora in causa per la vicenda dell’uso non legittimo –secondo l’Accusa- di un’auto aziendale: dopo l’assoluzione in primo grado e la dichiarazione di inammissibilità in secondo, si attende il giudizio della Suprema Corte.
Ultimo dato di cronaca: stavolta, presenti all’udienza anche meno di dieci persone.
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