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Antimafia: i “Carateddi” e la scalata tentata ai vertici di “Cosa Nostra” catanese
Pubblicato il 01 Dicembre 2011
Rompere gli equilibri di potere dentro “Cosa Nostra”catanese: non è solo un’ipotesi investigativa, adesso ci sono elementi probanti. Il dato viene fuori dall’operazione “Revenge III”, condotta a termine della squadra mobile di Catania, su delega della Dda della Procura della Repubblica di Catania, con il coordinamento dei Pm Michelangelo Patanè e Pasquale Pacifico.
L’inchiesta ha fatto luce su nove omicidi, otto dei quali –secondo gli investigatori- sono attribuibili al clan dei Bonaccorsi “Carateddi”, frangia agguerrita del clan Cappello, la cosca mafiosa data in espansione negli ultimi anni, grazie al sempre fiorente “mercato della droga”. Nel 2009, anche la famiglia dei “Martiddina” si sarebbe alleata con i “Carateddi” con l’intento di estromettere il clan Santapaola-Ercolano da “Cosa Nostra”. Progetto non realizzato.
Stamane, investigatori e inquirenti, in testa il Procuratore della Repubblica Giovanni Salvi (nella foto), hanno illustrato ai giornalisti l’operazione, che ha portato ad un’ordinanza di custodia cautelare, firmata dal Gip Daniela Monaco Crea, per diciassette malavitosi, tutti pregiudicati. Fatta luce su un omicidio “pesante”, quello del boss Raimondo Maugeri, “pezzo da novanta” del clan Santapaola, ucciso il 3 luglio del 2009, delitto contestato ai “Carateddi”. L’omicidio –secondo gli investigatori- avrebbe segnato l’inizio del tentativo di destabilizzazione di “Cosa Nostra” catanese, ordito dai capi della cosca Orazio Privitera e Sebastiano Lo Giudice, entrambi oggi al 41bis, insieme ai Lo Piccolo di Palermo. Privitera e Lo Giudice fino alla loro cattura, avvenuta dopo un periodo di latitanza nei primi mesi del 2010, avrebbero svolto dentro il clan, rispettivamente, il ruolo di consigliere strategico e di responsabile operativo. Insomma, in generale, si voleva scalare Cosa Nostra sotto l’Etna.
Nell’ambito di “Revenge III” sono stati arrestati Giovanni Musumeci, 39 anni, Paolo Ferrara, 37 anni. Il provvedimento restrittivo è in corso di notifica ai pregiudicati già detenuti per altra causa: Vito Acquavite, 33 anni, Antonio Aurichella, 31 anni, Antonio Bonaccorsi 43, Agatino Di Mauro, 52, Alessandro Guerrera, 43, Sebastiano Lo Giudice, 34, in atto detenuto in regime del 41 bis, Orazio Musumeci, 29, Giuseppe Platania, 29 anni, Domenico Privitera, 39, Orazio Privitera, 49, in atto al 41 bis, Gino Girolamo Ragonese, 33, Alfio Sanfilippo, 45, Biagio Sciuto, 63, Nicolò Roberto Natale Squillaci, 43, Antonino Stuppia, 26 anni.
Fra gli arrestati c’è, quindi, anche Biagio Sciuto, capo del clan “Sciuto Tigna”, la cosca che secondo gli inquirenti sarebbe entrata in contrasto proprio con i “Carateddi”. “Revenge III” ha permesso di capire dinamiche di una catena di omicidi, avvenuti a Catania tra il giugno 2001 e il marzo 2010, otto dei quali sono contestati ai “Carateddi” e uno, appunto, agli “Sciuto Tigna”. Secondo i Pm Patanè e Pacifico, affiancati in conferenza stampa dal procuratore capo Giovanni Salvi, dal Questore Antonino Cufalo e dal capo della squadra mobile Giovanni Signer, l’operazione costituisce “l’ideale prosecuzione delle indagini svolte nel quadro dell’operazione “Revenge” dell’ottobre del 2009″. Sottolineata la “spietatezza” del clan dei “Carateddi”, un gruppo malavitoso che avrebbe tentato la “scalata” ai vertici della mafia catanese, mietendo vittime in serie, talora per ragioni banali e anche per “motivi d’onore”.
Il quadro viene ricomposto grazie alle attività tecniche svolte dalla “mobile” tra la fine del 2008 e la seconda metà del 2010, e alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Si tratta, in particolare, di Vincenzo Fiorentino, Gaetano Musumeci, Natale Cavallaro e Gaetano D’Aquino, il più recente collaboratore della Dda etnea. “Revenge III” ha permesso di fare luce su una serie di fatti di sangue. Ecco date e nomi di vittime, con i moventi secondo gli investigatori.
Il 26 Agosto del 2008 gli “Sciuto Tigna” uccidono Sebastiano Fichera, uomo dello stesso clan, per contrasti economici. E’ uno degli episodi più importanti. Due mesi dopo, oltretutto, viene eliminato, per mano dei ‘Carateddi’ Giacomo Spalletta, elemento di spicco proprio degli “Sciuto Tigna”. Sarebbe stata la vendetta del clan per l’omicidio di Fichera, che era cognato di un affiliato, Antonio Aurichella e persona comunque vicina al gruppo dei “Carateddi”, anche per comuni interessi nel traffico di stupefacenti. Nell’estate del 2001 è vittima di “lupara bianca” Matteo Gianguzzo, pregiudicato vicino al clan rivale dei Mazzei “Carcagnusi”. L’uomo sarebbe stato sequestrato, torturato, ucciso e il suo corpo bruciato. Il delitto è contestato a Sebastiano Lo Giudice, Antonio Bonaccorsi, Vito Acquavite, Orazio Privitera, i quali avrebbero cercato di ottenere informazioni sull’omicidio di Massimiliano Bonaccorsi, zio materno di Lo Giudice, ucciso nel 1997. Quel delitto, infatti, era attribuito dai ‘Carateddi’ proprio ai “Carcagnusi”, ove militava l’ucciso.
Dei “Carateddi” sarebbe stato anche l’assassinio di Mario Luca Grillo, uomo ritenuto vicino ai Mazzei e pochi mesi prima coinvolto –secondo i “Carateddi”- nell’omicidio di un affiliato del clan Cappello Giuseppe Ranno, avvenuto il 24 ottobre 2001. Altri omicidi, altri fatti di sangue: Salvatore Gueli avrebbe pagato con la vita l’astio personale nutrito da Lo Giudice nei confronti della vittima perché vicina al boss del clan Cappello Angelo Cacisi, in quel momento detenuto. Cacisi era odiato perché aveva allacciato una relazione extraconiugale con una cugina dello stesso Lo Giudice, la quale per tale ragione si era separata dal marito, gettando “disonore” sulla famiglia.
Orazio Daniele Milazzo sarebbe stato fatto fuori per l’astio personale di Lo Giudice a causa della relazione di convivenza che la vittima aveva allacciato con la vedova dello zio Massimiliano Bonaccorsi –fratello di Antonio Bonaccorsi. Salvatore Tucci sarebbe stato ucciso perché ritenuto un confidente delle forze dell’ordine. Mario D’Angelo, imprenditore agricolo, persona estranea a fatti malavitosi, sarebbe stato ucciso per dissidi di vicinato tra lo stesso ed una parente di Domenico Privitera, che gestiva un’azienda agricola confinante.
Iena “Nera”
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