di Antonio G. Pesce
Abbiamo perso tutti e tutto. Che ci rimane, se perfino i ragazzi che crescono hanno perso la speranza? I dati emersi da una indagine del centro “Pio La Torre” tra mille studenti italiani, di età compresa tra i 16 e i 18 anni, sono indicativi di un fallimento. Hanno fallito le chiacchiere. Il 71% pensa che lo Stato non faccia abbastanza per sconfiggere le mafie, e a fronte del 30,13% che crede che la malavita sarà sconfitta in modo definitivo, c’è un 43,47% che non lo crede affatto. Il 52,69% poi afferma che la mafia è più forte dello Stato. Di quello Stato che, per citare De Andrè, «si costerna, s’indigna, s’impegna», e poi getta la spugna perdendola, la dignità.
Nel 1992 volevamo una risposta forte. Ho ancora davanti agli occhi una folla inferocita ai funerali di Falcone e Borsellino. Tutti contestati i politici che si presentarono, e la polizia a cercare di riportare la calma nelle viuzze colme di gente che non poteva accedere in chiesa. Allora avevamo una speranza, e forse è colpa di quella generazione lì, che o si è spenta e non ha più continuato la battaglia, o si è accesa di insana retorica antimafiosa, accontentandosi di presenziare a qualche tavola rotonda, alla deposizione delle ghirlande commemorative, alla premiazione di qualche inutile libro.
Ai ragazzi non puoi mentire, questo è il punto. Hanno la capacità rivoluzionaria per eccellenza – la capacità di vedere il vero. Ed è vero che mandiamo a combattere carabinieri, finanzieri e poliziotti con una berretta di ordinanza, a fronte di un apparato paramilitare che sa incutere terrore. È vero – i ragazzi lo vedono – che la politica è fatta di parole e distanze, promesse false ed inutili, estorsioni di voti con la forza della disoccupazione, e poi sparizioni quinquennali e repentine riapparizioni quando s’intravede la figura della cabina elettorale. I ragazzi vedono che l’antimafia è diventata, in molti casi, un’ideologia, buona più come censura stalinista dei nemici politici, da internare nel gulag dell’impresentabilità, che non come programma di riscossa morale e civile. Un rito civile, l’ultimo collante rimasto in un tempo in cui l’antifascismo militante è per alcuni denigrazione di partigiani ebrei, e per molti soltanto un’occasione di grigliate al sole primaverile.
Siamo nudi. Ce l’hanno detto chiaramente. Ci hanno guardato in fondo, e ci hanno strappato di dosso la maschera da parata che indossiamo. Speriamo che non ci guardino nel portafogli: vedrebbero quanto soldi abbiamo speso per buttare un po’ di polvere nei loro occhi. Occhi rimasti fin troppo lucidi per non vedere cosa c’è da fare e cosa, invece, non viene fatto.
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