Caro Direttore,
si sono appena conclusi i festeggiamenti agatini e CATANIA è ritornata alla sua “normalità”.
Questi giorni, tuttavia, resteranno forgiati con il fuoco in considerazione delle parole pronunciate dal Vescovo di Catania e rivolte alla classe politica locale a Suo dire (ma il pensiero è diffuso tra i più) incapace di governare la città, di offrire ai catanesi una prospettiva di rilancio e una visione futura di quelle che saranno le prospettive di sviluppo di CATANIA.
Come non essere d’accordo con il Vescovo, quando ha affermato che la nostra città è stata amministrata da “(…) amministratori poco competenti, eterodiretti (…) che non danno esemplarità in una città che ha al suo interno una parte della sua popolazione agli arresti domiciliari (…)”.
Parole gravi. Un atto di accusa verso quei partiti e quella classe politica che ha visto CATANIA come un’occasione per soddisfare le proprie velleità politiche e non come una società, fatta di DONNE e di UOMINI, che necessitano di una politica vera, fatta da persone competenti, con una vera professione alle spalle, e non con esigenze politiche legate a logiche di appartenenza.
Ma si sa che i grandi spiriti hanno sempre incontrato l’opposizione violenta delle menti deboli e, pertanto, l’invocato slancio di dignità e di orgoglio richiesto alla classe partitica locale, difficilmente troverà la sponda tra coloro che hanno fatto della politica stessa la loro professione.
Una tale commistione tra potere spirituale e potere temporale non si vedeva dai tempi di “Porta Pia” e dalle successive firme apposte ai Patti Lateranenzi.
Tuttavia, se le parole del Vescovo sono condivisibili, esse appaiono pericolose nella parte in cui tentano di limitare la partecipazione alla vita democratica della nostra società, a coloro che hanno procedimenti penali in corso.
Da giurista laico e da uomo libero da condizionamenti politici, non posso ignorare che il governo degli uomini debba essere separato dal governo delle anime, nel momento in cui l’etica e la morale si scontrano con il diritto e con i principi costituzionali che disciplinano la vita democratica nel nostro Paese.
Caro Direttore, il silenzio serbato dalla classe politica alle parole del Vescovo è espressione del loro asservimento, appare pavido e in contrasto con i principi e valori costituzionali che essi dovrebbero tutelare nel governo della res Pubblica.
Il principio di non colpevolezza sancito dalla nostra carta Costituzionale non può essere sacrificato sull’altare dell’etica e della morale religiosa, anche perché il giudizio e la condanna sono prerogative dei giudici e del Divino.
Caro Direttore, quando ciascuno di noi offre pubblicamente il proprio pensiero ai terzi, non può certamente ignorare la possibilità di andare incontro a critiche e dissensi perché, come la sociologia insegna, il dissenso è il motore del progresso.
Un caro saluto e buon lavoro.
Dario RICCIOLI.
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