Bartolo a Catania. Al Teatro Ambasciatori va in scena la “cosa rossobianca”

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La cronista di “grido” inchioda gli stivaloni di pelle sui gradini della scalinata del Teatro Ambasciatori, si guarda attorno con circospezione e chiede, sbrigativa: “Avete visto Anthony?” Un tizio sulla quarantina, faccia nota negli ambienti clerico-dem, stende prontamente il braccio: “E lì”, risponde, indicando il bar, dall’altra parte della strada. La giornalista di grido allunga il passo e lo “intercetta”. Anthony Barbagallo, il “Segretario-Caffè”, il “Coffee-Boy”, il numero uno del Pd siciliano, è lì, al bar, che offre un caffè a tutti, scherza e sorride, lancia occhiate verticali sull’ingresso del teatro, dove si va formando una piccola coda di varia umanità, gente del volontariato, del terzo settore, gente di chiesa, cattolici, socialisti, “abramisti”, barbagalliani, villariani, manniniani, bartoliani. Si nota in fila, sull’uscio del teatro, un “ombroso” Rosario D’Agata (abramiamo o bartoliano?), già assessore della “sfortunata” giunta Bianco, che esibisce il green pass ad un giovane volontario. I controlli anticovid, serratissimi, rallentano le operazioni di accesso. Green pass, controllo della temperatura e “pit-stop” al botteghino, dove una receptionist annota nomi e numero di telefono dei partecipanti, ceto medio catanese, perlopiù. Del resto, la conferenza – indetta dal gruppo dei “socialisti e democratici europei” – ha un titolo che ammicca alla piccola borghesia impiegatizia: “Unire le città per unire l’Europa”. Roba forte, se “ingerita” il sabato mattina.

“Star” della giornata è Pietro Bartolo, il medico dei migranti di Lampedusa, oggi parlamentare europeo. Dopo essersi “liberato” dalla “morsa” di Umberto Teghini, che lo intervista a lungo per Sicrapress, al tavolino del bar di cui abbiamo detto, Bartolo si intrattiene con Alfio Mannino, segretario regionale della Cgil. Sembra esserci un’intesa antica tra i due. Qualcuno scatta foto. Altri parlottano. Buone vibrazioni nell’aria. Massimo Ferrante, una delle “menti” dell’iniziativa, è visibilmente soddisfatto. Michele Vivaldi, sindacalista tra i più apprezzati, si muove tra i “capannelli” con piglio “mattarelliano”. Incrociamo persino Salvo Battaglia, uomo “senza età”, autentico “monumento” sindacale, uno, si fa per dire, che è sindacalista da prima che nascesse il sindacato: “Ah Benanti, quell’articolo su di me…”, si lamenta tra il serio e il faceto, ridestando dall’oblio “questioni” antiche, scontri tra dirigenti. Ad accogliere gli ospiti, davanti ai tendaggi di velluto vermiglio che si aprono sulla sala, c’è Emiliano Abramo. Ha un atteggiamento, come dire, quasi “pretesco”: “Ciao Maurizio”, dice al professor Maurizio Caserta che arriva “trafelato”, “forse dovevamo venire a prenderti all’aeroporto”.

In sala un centinaio di persone, opportunamente “distanziate”. Da una poltrona in prima fila, sporge la chioma fluente di Jacopo Torrisi, delegato del Pd per la città di Catania. Accanto a lui, Concetta Raia e il segretario provinciale del Pd Angelo Villari, che fa il Villari: dà pacche sulle spalle a tutti, ha una buona parola per tutti, “ama” tutti, presenti e anche assenti, assenti come l’ex segretario della Cgil catanese Giacomo Rota. Presenti invece i big dell’attuale Cgil catanese: c’è Carmelo De Caudo, il segretario generale, che arriva in scooter, c’è Pippo Glorioso, segretario organizzativo, che è dato con insistenza, in vari ambienti, in odore di candidatura alle regionali del prossimo anno: “Tu mi conosci”, ci dice con espressione empatica, “sai la mia storia: ho fatto il sindaco di Biancavilla, ora sono segretario…” Insomma, il “curriculum” c’è tutto, in effetti. Bisogna solo vedere cosa eventualmente, semmai, forse, ne potrebbe pensare Angelo Villari, candidato in corsa per un posto all’Ars, nella lista del Pd, in area, diciamo così, “laburista”. Assembramenti d’area, potremmo dire, “pericolosi”.

Ad Alfio Mannino, poco prima che inizi il dibattito, riusciamo a chiedere: “Alfio, ma questo cambiamento del sindacato dov’è? Non è che si veda un granché”, osiamo. “C’è, c’è, è lento ma c’è”, taglia corto il segretario, con fare “sornione”, “tu non devi guardare alla storia ma alla geografia”. Praticamente, serve un sussidiario. O forse il Codice Da Vinci? Proviamo allora con Massimo Malerba del Villaggio Sant’Agata, sperando di aver maggior fortuna: “Ma tu lo vedi questo cambiamento del sindacato?”, lo sfidiamo. “Come no, cambiamento lento”, replica, “come la canzone di Peppino Di Capri”. Ma Gaetano Agliozzo, il buon vecchio Agliozzo dei dipendenti pubblici, con quella flemma anni ‘80 che lo contraddistingue, lo corregge: “Quella è andamento lento ed è di Tullio De Piscopo”.

L’unica nota di realtà, in questa musica sempre uguale, sembra essere quella di Giusi Milazzo del Sunia: “Diciamoci la verità: il centrosinistra non ha un candidato forte e credibile per Catania”, sentenzia. Chissà cosa ne pensano il notista politico Mario Barresi e la cronista di punta di LiveSicilia Laura Di Stefano, i “David Parenzo-Concita De Gregorio” de noaltri, protagonisti assoluti delle tavole rotonde catanesi Ed è proprio al giornalista de “La Sicilia” che Bartolo confessa la disponibilità a mettersi in gioco per il governo della Sicilia. “Ho chiesto a Pietro Bartolo – racconta Barresi – se sia disposto a scendere in campo per le Regionali in Sicilia”. Risposta: “Se mi sarà chiesto di dare un contributo, non mi tirerò indietro”. In altre parole, un’altra candidatura a presidente della regione, dopo quella di Claudio Fava, nell’area di centrosinistra.

Luci spente in sala. Si inizia, partono gli interventi dei relatori, si intravvede una grande assonanza tra i convenuti che fa pensare ad un “check-up” interno all’area democratica, “democratica” in senso largo – democratici, cattolici e socialisti – sulle prossime scadenze elettorali. Suggestioni clerico-democratiche? Una “cosa rossobianca”, la definisce qualcuno. Dai saluti di Barbagallo, alla bella testimonianza di Luana Moresco, presidente della Fondazione Megalizzi, appena atterrata da Trento, e poi Giovanni Ruvolo, ex sindaco di Caltanissetta, l’economista Maurizio Caserta, il sindacalista Alfio Mannino, e infine, per le conclusioni, Emiliano Abramo. Finisce il dibattito, finisce la tavola rotonda con Bartolo, l’ora è tarda, è tempo di pranzo. Il pubblico conquista le uscite alla stessa velocità dei colleghi di Fantozzi dopo la visione della Corazzata Potemkin. Schizza fuori dal teatro anche Luigi Pulvirenti, giornalista e influencer dell’area della destra moderata. Il Segretario-Caffè, il “Coffe-Boy”, Barbagallo, uscendo, ci “stuzzica”: “Hai visto? Sono rimasto fino alla fine”, scherza. Ed è l’ultima battuta della mattinata. Poi giù il sipario, fino al prossimo “spettacolo”.

iena controrivoluzionaria Marco Benanti.

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