Borsellino:”l’atto di Napolitano e’ uno schiaffo a chi spera che l’azione della Procura di Palermo possa portare alla Verita’”


Pubblicato il 17 Luglio 2012

di Fabio Cantarella, iena presidenziale

Non si placano le polemiche dopo il provvedimento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, diretto a sollevare un conflitto di attribuzione nei confronti della Procura di Palermo per le decisioni adottate in merito alle intercettazioni di conversazioni telefoniche, che lo riguardano, eseguite nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia.

Nei giorni scorsi, il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, in seguito alle lamentele del Capo dello Stato, aveva tentato di abbassare i toni con dichiarazioni distensive: “Tutte le norme messe a tutela del Presidente della Repubblica riguardo a una attività diretta a limitare le sue prerogative sono state rispettate – aveva detto Messineo -. I chiarimenti sono stati già dati all’Avvocatura dello Stato. Mai la Procura avrebbe avviato una procedura mirata a controllare o comprimere le prerogative attribuite dalla Costituzione al capo dello Stato, ma si è trattato un fatto occasionale, imprevedibile che a mio parere sfugge alla normativa in esame”.

A gettare nuova benzina sul fuoco ci pensa Salvatore Borsellino, fratello del magistrato eroe Paolo, probabilmente ucciso anche perché aveva lasciato intendere, in piena sintonia con Giovanni Falcone, che non si sarebbe piegato ad alcuna trattativa tra lo stato e la mafia. Nella videointervista rilasciata da Paolo Borsellino al “Il Fatto Quotidiano”:”in questo caso si tratta proprio di un attentato alla Costituzione da parte del Presidente della Repubblica e di conseguenza si pone la necessità di una sua messa in stato di accusa”. Parole durissime quelle di Salvatore Borsellino che più di ogni altro porta addosso le ferite di vent’anni di battaglie affrontate con coraggio al fine di trovare la verità sui mandanti delle stragi e sulla presunta trattativa tra la mafia e pezzi dello stato. E Borsellino rincara: “per quello che mi risulta il Presidente della Repubblica non ha alcuna prerogativa per quanto riguarda indagini giudiziarie condotte dalla Magistratura che è un organo libero. Quella Magistratura – aggiunge Salvatore Borsellino – che sta cercando e sta riuscendo a fare luce su quanto ha portato alla strage del 19 luglio, cioè un’infame trattativa tra pezzi dello stato e la mafia, la criminalità organizzata. L’atto di Napolitano è, quindi, uno schiaffo a chi come noi spera che questa azione della Procura di Palermo possa finalmente portare alla Verità e di conseguenza alla Giustizia oppure si tratta della reazione di un uomo disperato che sa che se venissero rese pubbliche quelle intercettazioni, lui non avrebbe che una possibilità: dimettersi”. Clicca qui per vedere il servizio de “Il Fatto Quotidiano”.

Ricordiamo che a dare il via libera al contenzioso con la Procura di Palermo, era stato il decreto presidenziale a firma di Napolitano (per l’occasione intercettato mentre conversava con il ministro, all’epoca delle stragi, Nicola Mancino, peraltro indagato per falsa testimonianza proprio nell’ambito del procedimento relativo alla presunta trattativa tra mafia e stato) nel quale tra le altre cose si legge le intercettazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, anche se indirette, “non possono essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte”. Napolitano, pertanto, richiamandosi all’art. 90 della Costiturzione e alla legge 5 giugno 1989, n. 219, aveva sottolineato ai giudici di Palermo che le intercettazioni cui partecipa il Capo dello Stato “non possono essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte, salvi i casi di alto tradimento o attentato alla Costituzione e secondo il regime previsto dalle norme che disciplinano il procedimento di accusa – le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorché indirette od occasionali, sono da considerarsi assolutamente vietate e non possono quindi essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione”.

Da qui la decisione del Quirinale di investire la Corte Costituzionale della vicenda. Secondo il Napolitano, infatti, le prerogative del Capo dello Stato sarebbero state già lese dai pubblici ministeri di Palermo con la valutazione dell’irrilevanza delle intercettazioni e la loro permanenza agli atti dell’inchiesta e sarebbero ulteriormente lese da una camera di consiglio per deciderne in contraddittorio la distruzione. Anziché chiedere immediatamente al Giudice per le indagini preliminari la distruzione delle intercettazioni, i pubblici ministeri – illegittimanente secondo il Capo dello Stato – intendono sottoporle ai difensori ai fini del loro ascolto ed eventualmente, solo dopo il contraddittorio, rimetterle alla valutazione del giudice. E’ un altro passaggio del decreto emesso dal Capo dello Stato e col quale ha sollevato il conflitto di attribuzione. In buona sostanza Giorgio Napolitano, sostiene che le intercettazioni in cui è presente il Capo dello Stato debbano essere immediatamente distrutte per quanto assunte indirettamente, cioè intercettando terze persone sottoposte ad indagini.

Ci permettiamo una “considerazione editoriale”, il Presidente della Repubblica avra’ forse le sue buone ragioni giuridiche da giocarsi nel procedimento relativo al conflitto di attribuzione da lui sollevato con decreto, ma probabilmente ha scelto la vicenda e il momento peggiore per farle valere. Ci saremmo aspettati da parte sua un incoraggiamento ai magistrati palermitani che dopo anni d’insabbiamenti, depistaggi, silenzi inquietanti, falsità e ingiustizie, stanno cercando di affermare la verità nell’intento di consegnare ciascuno dei personaggi coinvolti alle proprie responsabilità. E vorremmo anche ricordargli che oltre che una questione di opportunità e’ anche una questione di priorità. Per noi, più delle prerogative del Capo dello Stato, è importante che il Popolo sappia tutta la verità, specie relativamente alle vicende nelle quali emergerebbero responsabilità di uomini delle istituzioni che avrebbero tradito queste ultime e il Popolo che dovevano rappresentare.


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