Nessuno è in grado di sapere da quanto tempo Pietrangelo Buttafuoco avesse dentro le parole che ha pronunciato, sollecitato da Enrico Trantino, in chiusura della festa nazionale de La Destra a Taormina.
Un fatto è certo i toni usati, quei toni, non lasciano spazio alcuno alla fantasia e riportano al vibrare dei cuori di tante piazze, affollate e felici, nelle quali il popolo della Destra che fu si è magicamente incontrato con quello della Destra che è.
Buttafuoco non ha parlato da uomo di partito, perchè non si può chiedere alla poesia di farsi prosa. Ha parlato, con cuore e ragione, da militante di una comunità che non ha smesso i colori della speranza e che non ha ammainato la bandiera issata per una vita.
Ed ha parlato di quella comunità di un tempo, mortificata dall’egoismo e l’arrivismo di chi l’ha guidata e oggi portata altrove, ha parlato – con alcune incursioni nel passato e nel presente – dell’atto di abiura, la negazione di sé, di quella che Musumeci, intervenendo accanto a Silvano Moffa e Pasquale Viespoli, ha definito”la mutazione antropologica”.
Non gli è calata a Pietrangelo l’affermazione di “male assoluto” con cui Gianfranco Fini ha bollato una storia, che è storia d’Italia anche nel centocinquantesimo dell’Unità (che, appunto, non è centotrentesimo). Nessuna nostalgia, nessuno sguardo verso il passato con volontà di stare fuori dal tempo, ma desiderio sincero di vivere il presente guardando al futuro, perché –diceva Nietzche – “il futuro influenza il presente tanto quanto il passato”. E non ha risparmiato neppure critiche sulla triste storia di Montecarlo – che fece tanto arrabbiare Francesco Storace – ricordando i tempi in cui le case si compravano perchè nessuno le voleva affittare ai militanti missini.
Applausi tanti, emozioni convinte. Non una platea di eretici, ma un uditorio attento e appassionato. Si è respirato il clima di una Destra culturale e politica che non si arrende all’idea imposta di essere altro da sé. Una Destra come la immaginava Beppe Niccolai quando scriveva in “PropostaItalia” – la mozione che porta anche la firma del giovane Pietrangelo Buttafuoco – che un partito deve vivere nella realtà. Ed è stato questo lo spirito, essere figli di questo tempo, che ha animato lo scrittore siciliano quando ha ricordato la condizione di un Sud “sotto-sopra-sviluppato” e di una Sicilia che perde il piacere di far vivere i suoi borghi e si rinchiude nei centri commerciali imposti dalla cultura del consumo globale targata a stelle e strisce.
Cosa resta dell’intervento di Pietrangelo Buttafuoco? Una stupenda carica di emozioni ed una facile promessa. Non è stata la prima e non sarà l’ultima occasione d’incontro tra lo scrittore e la sua comunità. E mentre tutti si stringevano a Buttafuoco e Trantino che lasciavano il palco quando le stelle erano già alte nel cielo taorminese, un gruppo di militanti siciliani si sofferma a discutere: ma che fu, una intervista, una narrazione (non vendoliana)o un dialogo a due? Ed ecco irrompere una voce: fu un comizio. Ma come? Un comizio? Sì. Fu un comizio. Uno uguale uguale a quelli raccontati da Pietrangelo nei suoi articoli e nella prefazione al libro di Enzo Trantino. Certo, mancavano le colombe a svolazzare sul palco e i compagni ad ascoltare a distanza. Ma del comizio, in quella chiacchierata di fine estate, c’era il sentimento di una comunità che – marinettianamente – è tornata sulla cima del monte e ha lanciato la sua sfida alle stelle. Appuntamento al futuro. E che sia il prima possibile.
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