Marco Iacona

1. Innanzi tutto l’uomo. Sul quale poco o nulla si può/deve dire. Amato da chi aveva ragione d’amarlo e invidiato al pari d’un ricco di spirito. Prodotto, Camilleri, di una Sicilia prodiga di talenti a conti fatti del tutto inutili. Di secondario interesse, oggi, se sia riuscito a far comprendere, agli italiani, l’importanza della lettura, al pari d’un campione dello sport che reclamizzi, per se stesso, la propria disciplina: il tempo fornirà un giudizio probabilmente negativo. Aver prodotto l’avvicinamento di giovani e meno giovani, ricchi e bisognosi al mezzo televisivo può considerarsi virtù (negativa) di riflesso. Se si confonde, da ultimo, l’uomo col “saggio” non si può, d’altra parte, che darne un giudizio positivo. Giovani pedagogie, tempi moderni e postmoderni penalizzano la figura del veterano; un dì filosoficamente riassumente le maggiori qualità possibili, oggi campione di slavato conformismo, il vecchio approssima le ultime generazioni – o almeno ci prova – alla lettura riflessiva, ma è equo che qualora non sia all’altezza delle premesse – competenza e stile – assuma i rischi di una sonora, quasi blasfema bocciatura.

2. Lo scrittore. Indigeribile ai più; al di là della linea gotica, più dei nobilissimi predecessori, letto con scarso entusiasmo; comprensibile a periodi alterni, ma stranamente mai – così almeno pare – rifiutato. Merito del mezzo televisivo – con relative messe cantate – che trasforma autori e personaggi di buon livello in fuoriclasse in qualcosa d’indefinito o indefinibile. Certo è che – dal punto di vista dello scrivente – pagheremo per decenni la sua prodigalità compositiva. In termini di qualità: un formicolare di siciliani poliziotti, investigatori e quant’altro; imitazioni di imitazioni la cui inutile presenza ingolferà il già precario settore editoriale e riproporrà il mito della (falsa) sicilianità come cosa irrinunciabile. In termini, dunque, di quantità, perché né più né meno avvilente è l’esercizio generalizzato di scrittura che dovrebbe essere – dal nostro punto di vista – qualcosa di più di una miseranda condita e colorita narrazione di scipite tipicità.

3. Montalbano. Dal punto di vista di chi scrive ennesimo e ben riuscito – ovviamente non positivo in scala valoriale – tentativo di sicilianizzazione dello Stivale. È questa – sempre per chi scrive – la caratteristica più pericolosa e allo stesso tempo, fortunatamente, più debole del mondo camilleriano. Gli sforzi, sovente rozzi di ridurre la gran parte dei fenomeni a punti di vista siciliani cioè di “postmodernizzare” il mondo convertendo enti e natura in un caos desertificato prima ancora di averli modernizzati – impegno oramai impossibile – si possono sintetizzare nel doppio trasferimento “valoriale” dalla Sicilia al mondo e dal mondo alla Sicilia. Il pericolo, se non altro, quantitativo c’è. Sicilianizzare il mondo “libero” con operazioni più o meno abili è forse ancora più pericoloso che esportare la sicilianità al di fuori dei “confini”; nel primo caso si hanno meno strumenti culturali per comprendere a pieno l’operazione e dunque per rigettare il prodotto senza pensarci troppo. Da questo punto di vista, Montalbano è, per fortuna, un artificio letterario, come detto prima, la cui conoscenza viene giudicata dai più poco interessante.

4. L’altro Camilleri, non il giallista, anzi non il narratore. Grande successo. Ma anche qui il tempo dirà quel che c’è da dire. Chi scrive ebbe la fortuna di apprezzare un’introduzione a un volume scritto da un terzo per una collana del gruppo Algra. L’uomo sapeva approfondire, conosceva tradizioni e autori di casa sua, sapeva conversare con se stesso, vecchio e nobile trucco per imbastire un efficacissimo dialogo coi lettori, ostentando conoscenze tipicamente siciliane nelle quali episodi di vario spessore, pretese civili e formali sciocchezze, si fondono in un pastiche discorsivo.

5. Sul Camilleri “politico” poco c’è da chiarire o forse tanto. Chi scrive si limiterà a dire che non apprezzava il voler liquidare come perle di saggezza – qui il “vecchio” ci faceva e no, non c’era – banalità da mercato delle pulci; politica, mondo della cultura in generale riposavano ben al di là delle misure predittive di Andrea il Siciliano che mostrava, come gran parte dei siciliani, di non comprenderne genealogie e sviluppi pratici, fermandosi sull’effetto argentino del buon consiglio e della carezzina morale di scarsissima utilità e a qualsiasi livello recettivo. Camilleri, primo navigante nel mare della sua stessa fama, non se ne rendeva conto; come quei figli viziati che avendo imparato l’alfabeto a memoria credono d’aver introiettato gli strumenti per filosofeggiare con cura ma sono, in realtà, fermi al piano elementare di una piatta natura. L’antifascismo di Camilleri – chi scrive lo è, antifascista – considerando età ed esperienza, era cibo per seguaci di Heidi e per caprette ben guidate.

6. Quando morì Simenon – mito camilleriano – Fruttero e Lucentini scrissero che romanzi di Maigret e prove kafkiane erano una sorta di epitome intellettuale e perfino emotiva del Novecento. Chi affermerebbe che i frutti del lavoro camilleriano riposino allo stesso livello dei compiti dei geni europei? A giudizio di chi scrive ci muoviamo, pur sempre, al di qua di mura provinciali confine di una letteratura periferia della periferia, incapace di approfondire temi di peso, occasionale, spenta e manierata. Quasi monotematica. Priva di sostanza, mal-pensata o ben-pensata secondo i punti di vista. Ripetitiva, perfino stancante, poco temeraria. Pare che la maledizione pasoliniana dell’uniformazione dei costumi abbia ferito quel tal corpaccione che, al contrario, ci si sarebbe aspettato rimanesse “sano” e vigile così da formare nuove generazioni di critici finanche dilettanti – ci riferiamo al genio delle scritture – in grado di fornire all’utenza le coordinate per una decrittazione d’appartenenza e valoriale del materiale letterario. Siamo al nulla, al vuoto straziante e irresponsabile.

Omaggio, involontario, finale allo scrittore. Nell’era del cavalcare la tigre non occorre nascondersi e non si deve di conseguenza fuggire. Leggiamo dunque, tra gli altri, Camilleri, con la consapevolezza che l’universo delle lettere è molto molto molto più ricco del contenitore siciliano, dello spazio meridionale, dell’Italia stessa. Con l’idea pre-nata che la dimensione temporale potrebbe renderci lettori, se non liberi, almeno maggiorenni.

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Benanti

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