di iena al servizio della Reazione Marco Benanti
I collegamenti correntizi (leggi Unicost presente e onnipresente), le carriere dei magistrati secondo la logica correntizia di appartenenza, il Palazzo della cosiddetta “giustizia” con annessa Procura “progressista”, la “stampa degli amici” che con tempestività interveniva magicamente a sostegno, le diffamazioni ( Giambattista Scidà “pazzo”, Nicolò Marino “fascista”, con loro un pugno di “pazzi”, magari “mezzi fascisti”), la sinistra degli “utili idioti” del sistema dominante, e in mezza ad essa i “vecchi lupi” che sapevano e parlavano d’altro (fondamentali argomenti…da Madagascar o simili), la vecchia destra delle famiglie esattamente in linea con la vecchia sinistra delle famiglie, a garantire e a “giocare” su altri “tavoli” e su altre logiche, magari sghignazzando di quelli che parlavano ancora di “destra e sinistra”, di rottura dell’eterna consociazione delle carriere e degli affari.
Per anni questa è stata Catania: una storia lunga, nascosta, inquinata da un sistema dominante che ha distrutto vite, verità e futuro. Ancora oggi, tenta di rimanere in piedi, utilizzando logiche non tanto dissimili da quei tempi, con la stampa che deve sapere quali limiti non sono superabili. E sembra proprio averlo capito.
Oggi, però parla Luca Palamara e tira dentro Catania e i catanesi. I magistrati catanesi. Lo aveva fatto, con altri nomi, ma a conferma che più di qualcosa non andava in quel cosiddetto “Palazzo di giustizia”, il Presidente del Tribunale dei Minorenni Giambattista Scidà, lo avevano fatto pochi giornalisti, come Giuseppe Giustolisi insieme a Marco Travaglio, querelati per un’inchiesta molto documentata su “Micromega” sul “Caso Catania” dal leader di Unicost a Catania Giuseppe Gennaro. Un processo vinto, a Roma.
Nicolò Marino, anche lui magistrato inquirente in quegli anni, aveva contribuito a scoperchiare pezzi del sistema dominante con le inchieste sul nuovo ospedale “Garibaldi” e sull’imprenditore Sebastiano Scuto e ciò che ruotava attorno al comune di San Giovanni La Punta. Battaglie in solitudine, fatte anche con giornali poveri, ma pieni di verità; ancora rappresaglie ancora polemiche, ancora procedimenti davanti al Csm.
Eppure, in Commissione Antimafia Scidà e Marino avevano parlato chiaro sulla giustizia a Catania, sulle indagini, con nomi e cognomi: dicembre 2000, gennaio 2001. La città reagì come al solito: “La Sicilia” difese la Procura della Repubblica, i “chierici” tradirono, come sempre, chi non stava nel “coro” era nella migliore delle ipotesi “al servizio delle destre”, perchè la “Procura era progressista”. Una delle tante menzogne propagandate per anni dopo la “rottura” con la magistratura conservatrice degli anni Settanta e Ottanta. Le vittime della “malagiustizia” catanese, in primo luogo la verità, potevano attendere.
Quel che emerge dalle parole di Palamara è davvero solo poco di quanto in termini di Potere rispetto alla forza, alla compattezza, alle complicità che attorno ad un pezzo di magistratura catanese si è saldato a Catania.
La speranza è che Palamara racconti tutto: nessuna voglia di rivalsa, solo omaggio -doveroso- alla verità, oltraggiata da troppo tempo.
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