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“Caso Catania”, politica e societa’ civile. Il giornalista Pino Finocchiaro: “Vi racconto la mia verita’”
Pubblicato il 25 Giugno 2012
di Mirko Tomasino-Iena Vulcanica
Lunga esperienza di giornalista, e occhio critico verso il passato ed il presente. Questo è Pino Finocchiaro (nella foto), storico giornalista siciliano, preziosa firma del Giornale del Sud ed attuale redattore e conduttore di Rai News 24. Con molta schiettezza e linearità, Finocchiaro delinea il quadro a tinte fosche del “Caso Catania” facendo il punto della situazione, senza dimenticare il suo contributo offerto nella Catania criminale degli anni’80 e ’90 e i suoi protagonisti, dalla parte dei “buoni” e da quella dei “cattivi”. Com’è la Catania del 2012 rispetto a quella di vent’anni fa? E cosa è veramente cambiato o cosa rimasto inalterato? Domande a cui il giornalista catanese ha risposto con grande coerenza intellettuale e profondo spirito critico.
Pino Finocchiaro, giornalista catanese, stretto collaboratore di Pippo Fava e adesso redattore e conduttore di Rai News 24. Tra i suoi riconoscimenti anche il premio della sezione “Ilaria Alpi”, “Penne Pulite”. Cosa ne pensa del passaggio D’Agata – Salvi alla Procura di Catania? Ero un semplice redattore (pubblicista a contratto) del Giornale del Sud. Non ero tra i più stretti collaboratori di Pippo Fava. Ci siamo confrontati spesso. Da lui ho imparato moltissimo. Innanzitutto, quando ci siamo beccati una querela insieme. Moltissime altre volte quando ha mostrato di darmi fiducia sui reportage sull’eruzione di Randazzo o sul petrolchimico di Augusta. Ho un debito di riconoscenza per l’uomo molto più che per il direttore. Questo è un fatto privato. Riguarda solo lui e me.
Credo che Pippo Fava avrebbe salutato con fredda emozione e calda passione il passaggio epocale della nomina di Gianni Salvi dopo decenni di procuratori legati al “sistema Catania”. Non vuol dire che i predecessori di Salvi abbiano necessariamente violato la legge. Comunque, non sta a me appurarlo. Semplicemente, non tutto quel che è lecito è opportuno, come suggerisce il più calvinista dei calvinisti, Teodoro di Beza. Ecco, Gianni Salvi offre un opportunità “riformista” alla giustizia catanese. Non è un rivoluzionario, non è legato alle camarille locali. E’ chiamato a fare il suo lavoro. Ad applicare la legge. Contro la mafia e il cono d’ombra che ne gestisce le strategie e l’ingegneria sociale.
Hanno fatto molto discutere sul nostro sito, www.ienesiciliane.it, le interviste fatte a Riccardo Orioles e Valter Rizzo. Chi era per Lei Giambattista Scidà? “Già a contatto con l’ultimo limite che la legge assegna alla vita di lavoro dei magistrati, esprimo una certezza e formulo un augurio. I giovani che vengono ad indossare la toga sapranno esercitare la virtù, essenziale pel magistrato, del saper dire di no: del saperlo dire agli altri, e prima che agli altri a se stesso. Auguro loro il privilegio di sapere avvertire, in ogni circostanza, com’è supremamente bello il battersi per una causa difficile o disperata ma che la coscienza certifica giusta. Questo privilegio, io l’ho avuto.” Questo è Titta Scidà.
Gennaro e Tinebra. Da un lato la “chiesa” di Orioles, dall’altra quella di Rizzo e Condorelli. Cosa ne pensa Finocchiaro dei due magistrati e con chi si schiera? Una domanda che implica molteplici risposte.Riccardo Orioles non è un parroco, non è un chierico, non è un cardinale. E’ un ex militante di Lotta Continua con il vizio della memoria ed un pezzo di sé (un po’ di cuore e un po’di cervello) finiti nella tomba a far compagnia a quel che resta di Pippo Fava. Dopo l’omicidio del Direttore, nulla è stato più come prima, per tutti. In particolare per Riccardo. Ho incontrato per la prima volta in vita mia Valter Rizzo sul finire degli anni ‘70 nella storica sede del Pci e della Fgci di via Carbone a Catania. Ampia sede, 22 vani su tre piani, acquistata dal gruppo Costanzo. Il Cavaliere incassò solo una dozzina di milioni di lire dalla Diocesi catanese del Pci guidata dalle brillanti menti della famiglia allargata Laudani-Scuderi. Pochi milioni e molta benevolenza. Valter Rizzo non faceva ancora il giornalista. Era un dirigente della Fgci catanese. Io, scrivevo per il Popolo e la Discussione, ero un dirigente del movimento giovanile della Democrazia Cristiana. Il mio segretario era Raffaele Lombardo. Antonio Condorelli è stato segretario nazionale dei giovani della Fiamma tricolore: il padre è stato candidato sindaco per quel movimento a Catania. Fatte le debite presentazioni, nessuno di noi può, vuole o deve rivendicare verginità politiche d’alcun tipo. Mi sono schierato pubblicamente contro l’inciucio Lumia-Lombardo in presenza di Beppe Lumia alle celebrazioni per l’anniversario dell’uccisione di Pippo Fava a Palazzolo Acreide nel 2010. Ho pubblicato la foto che ritrae il giudice Gennaro, nemico giurato di Lombardo, l’anno dopo. Se qualcuno volesse ombreggiare la verità con ulteriori dubbi, a metter in fuga ombre e dubbi basterebbe il riascolto del mio intervento del 5 gennaio 2011 a San Pietro e Paolo. Lì esortavo la società civile a ribellarsi contro l’ipotesi che la corsa per la guida della procura catanese si riducesse al duello tra un pm fotografato a colazione con un imprenditore al servizio di Cosa Nostra e un procuratore generale che aveva quanto meno sbagliato tutto nelle indagini sulle stragi provocando un ritardo di almeno vent’anni nell’accertamento della verità. E se ancora non bastasse. C’è un mio articolo sui Quaderni dell’Ora in cui spiego perché ritengo equamente inopportune le candidature di Gennaro e Tinebra. Infine, propongo un nome diverso da quello di Gianni Salvi. Per quel che mi riguarda, Gennaro e Tinebra sono due facce della stessa medaglia. Son felice che almeno per una volta la moneta sia rimasta dritta in piedi, offrendoci una prospettiva del tutto diversa, tutta da esplorare. Gianni Salvi rappresenta una grande opportunità. La svolta impressa in diverse indagini, inclusa quella sui fratelli Lombardo, di questi giorni, ne è la prova tangibile.
In che modo e con quali inchieste ha combattuto la mafia a Catania? I giudici e le forze dell’ordine combattono la mafia. Noi narriamo gli eventi. Talvolta, come nel caso dei “consigli per gli acquisti” alla Standa di Berlusconi ho preceduto di anni le inchieste della magistratura. Anche in quel caso ho agito per amore di verità. Ho ascoltato una fonte. Verificato la notizia. Approfondito i dettagli. La fonte era attendibile, riservatissima e autorevole. La notizia vera, autentica, rilevante. Ho pubblicato tutto alla fine degli anni ‘80. I fatti mi hanno dato ragione. E’ stato uno dei primi contributi alla comprensione del peso dell’ala politica di Cosa Nostra. A quel tempo tutte le inchieste erano mirate a contrastarne l’ala militare.
Come mai ha deciso di lasciare la città e trasferirsi a Roma? Sono stato licenziato e dovevo portare il pane a casa. Qui non riuscivo ad avere un contratto, neppure di sostituzione. Ho seguito a Napoli un corso di video giornalismo promosso dall’associazione Siciliana della stampa. Per accedervi ho sostenuto e superato esami scritti e orali. Completai il corso. Fui tra i cinque ammessi allo stage in Rai a Roma. Di quei cinque, solo due rimanemmo per i primi contratti di sostituzione. Iniziò così un lungo itinerario nei bacini di precariato che portò all’ assunzione in base agli accordi stipulati collettivamente con l’azienda. Un percorso duro, chiaro e trasparente. Di necessità, virtù.
Sulla foto che ritrae Gennaro in compagnia di Rizzo, prestanome dei Laudani, scrive di Lei Valter Rizzo: “Siccome sono uno che fa domande, mi chiedo: perché un familiare di un mafioso scattava di nascosto quella foto? Forse per avere un’arma di ricatto contro un magistrato pericoloso? E ancora, chi ha passato, vent’anni dopo, quella foto – proprio mentre Gennaro indagava Lombardo e Virlinzi – al signor Pino Finocchiaro? Se quella foto era verosimilmente in mani mafiose con quali fonti hanno trattato questi signori? Che rapporti hanno? Servono quali interessi? Le domande le ho fatte da tempo, le risposte le sto ancora aspettando”. Saprebbe rispondere ai suoi interrogativi? Non conosco il geometra Antonio Finocchiaro, padrone di casa alla festa di cresima , inquadrato nella foto con il pm Giuseppe Gennaro e il costruttore Carmelo Rizzo di cui era socio di fatto. Non mi risulta che il geometra Finocchiaro sia mai stato indagato per mafia. Mentre è certo che a coordinare le indagini sul clan Laudani e il loro prestanome Carmelo Rizzo fosse proprio Giuseppe Gennaro. Siccome Giuseppe Gennaro aveva ed ha il dovere istituzionale di sapere se i costruttori Finocchiaro e Rizzo fossero contigui al clan Laudani – a prescindere dalla circostanza del tutto casuale che entrambi gli abbiano costruito la villa – è proprio all’ex presidente nazionale dell’Anm che Rizzo dovrebbe rivolgere le prime due domande. La foto. Quella foto era nelle mani di almeno due o trecento persone. L’avevano ricevuta per posta o per e-mail. Nessuno di loro ha avuto il coraggio di renderla pubblica. Tra i catanesi che scrivono – a prescindere dall’argomento – penso di essere stato il solo a non riceverne una copia. Appena ho saputo dell’esistenza di quella foto ho trovato il modo di ottenerne una copia da mani che con Cosa Nostra nulla hanno a che fare. Ovviamente quelle mani hanno un volto e un nome. Onorati. E non intendo tradirli. Personalmente, servo solo l’interesse della verità. Quanto alla fonte. La legge istitutiva dell’ordine mi impone di tutelare le fonti. E’ imbarazzante che un iscritto all’Ordine dei Giornalisti chieda pubblicamente ad un altro giornalista di rompere il patto di tutela e riservatezza della fonte. Un obbligo morale ancora prima che etico, per di più dettato dalla legge. Ovviamente, il pm può intimarne la rivelazione per motivi strettamente attinenti all’inchiesta. Ma Valter Rizzo non è un pm, non è neppure un giudice. Mi corre l’obbligo di una citazione, di un vero giudice, di quel Paolo Borsellino che dopo l’ennesima telefonata dell’allora capo della polizia Vincenzo Parisi, esclamò: “Ma questo che minchia vuole da me?”.
Attualmente, nella sua Catania, chi secondo Lei si occupa tra i colleghi di combattere Cosa Nostra? Tutti quelli che scrivono con la coscienza netta, la schiena dritta e la testa alta. Sono numerosi. Non cercano attestati di merito. Non importa che scrivano “contro” Cosa Nostra. E’ importante il contributo alla verità.
Cosa ne pensa della svolta di Confindustria siciliana nei confronti della mafia? Le intenzioni sono buone. I risultati un po’ meno. I proclami non bastano.
Tracci un bilancio degli ultimi vent’anni a Catania. Cosa secondo Lei è cambiato e cosa è rimasto intatto? E’ cambiato il capo della Procura. Il merito è della società civile scesa in piazza per attirare l’attenzione del Csm sullo sconcerto della Città. A guidare quei passi furono le urla nel silenzio di Titta Scidà. Il procuratore Gianni Salvi si è schierato con la meglio gioventù di Catania partecipando alle celebrazioni nell’anniversario dell’omicidio di Pippo Fava. La prima volta in poco meno di trent’anni: Mario Ciancio si prepara a cedere il passo per ragioni anagrafiche. La zona grigia. La vera mente del sistema mafioso catanese di cui Cosa Nostra rappresenta solo l’apparato militare ha raffinato le capacità di selezione della classe diligente da inserire nei gangli vitali della città. L’ingegneria sociale funziona molto meglio del mitra. La vera arma dell’Onorata Società è il consenso. Tutti quelli che non obbediscono a questa logica vanno debellati. Mi preoccupa la Catania del futuro. Il patto politico-affaristico sugli investimenti miliardari in Corso dei Martiri. Patto garantito da due famiglie storicamente egemoni: lo studio Scuderi per la sinistra, lo studio Pogliese per la destra. Mi preoccupa che si spacci per rinnovamento il nepotismo con la candidatura per il centro sinistra di un rampollo della famiglia Scuderi e per il centro destra del rampollo dei Pogliese. Mi preoccupa che si torni a fare il nome di Enzo Bianco nonostante l’evidenza del patto politico-gestionale con il centrodestra di Castiglione e Firrarello. Quanto ai Lombardo, uno stacco di due-tre generazioni non farebbe male né alla politica né alla città. Né ai Lombardo. E’ rimasto intatto il servilismo delle classi diligenti. Intatto, il fatalismo. Catene difficili da spezzare. L’unica vera ribellione consiste nella scrittura. L’unico ruggito che da secoli sovrasta e confonde gli schiamazzi di iene e sciacalli. Che pur ci assediano.
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