La Corte d’appello di Catania ha sentenziato su una vicenda caratterizzata da intrecci e deviazioni fra poteri dello Stato e poteri mafiosi. E le perplessità non mancano….
di Iena Giudiziaria, Marco Benanti
Sentenza in secondo grado per il “Caso Messina”, la vicenda degli intrecci fra pezzi della criminalità organizzata e pezzi delle istituzioni attraverso la gestione della falsa collaborazione del “pentito” Luigi Sparacio. A distanza di quindici anni della denuncia dell’avv. Ugo Colonna, che aveva scoperchiato il “caso Messina”, e di quattro anni dalla sentenza di primo grado, la Corte d’Appello di Catania, presieduta da Ignazio Santangelo, ha confermato la condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa dell’ex Gip di Messina, Marcello Mondello. Prescrizione del reato per l’ex sostituto procuratore della Dda di Messina, già sostituto procuratore nazionale antimafia Giovanni Lembo e assoluzione per il maresciallo dei carabinieri Antonio Princi, suo principale collaboratore.
I giudici della Corte di Appello di Catania hanno ritenuto non applicabile l’aggravante mafiosa al reato di favoreggiamento contestato a Lembo e hanno perciò dichiarato prescritta l’Accusa. Il magistrato, che in primo grado era stato condannato a cinque anni per favoreggiamento aggravato dall’avere agevolato la mafia, è stato, inoltre, assolto dall’imputazione di minaccia nei confronti del pentito Paratore. Confermata la condanna a sei anni e quattro mesi per l’ex “pentito” Luigi Sparacio. Un “collaboratore” che da un lato faceva il “pentito” dall’altro continuava in condotte mafiose. Nel corso del processo di secondo grado, i pubblici ministeri Antonino Fanara e Mariella Ledda, a conclusione della loro requisitoria, avevano chiesto nove anni per Mondello e dieci per Lembo, riqualificando il reato contestato in concorso esterno all’associazione mafiosa.
Un caso clamoroso quello di cui parliamo che contribuì a sollevare il “caso Messina”, che coinvolse il mondo politico, giudiziario e imprenditoriale, in un intreccio di intrighi e deviazioni istituzionali, della città dello Stretto. Un “caso”, correlato con il “Caso Catania”, non fosse altro perché, allora, i due distretti di Corte d’Appello erano rispettivamente competenti in caso di ipotesi di reato commessi da magistrati. Oggi, il quadro delle competenze fra Procure è cambiato.
Può un “pentito” fare il doppio-gioco, approfittare della sua condizione per ottenere vantaggi e favori, con la complicità di chi dovrebbe perseguire i reati? Si può impunemente calunniare chi denuncia il vero, in particolare proprio queste deviazioni? Il Palazzo di Giustizia è solo un ufficio pubblico al servizio del cittadino o può diventare un centro di potere, anche al di sopra della legge che dovrebbe servire? Queste solo alcune delle domande che questa vicenda ha evocato.
“Credo –ha dichiarato l’avv. Ugo Colonna- che sia una sentenza incomprensibile perché da un lato riconosce la falsa collaborazione di Sparacio Luigi, dall’altro riconosce anche il ruolo di favoreggiatore del dott Giovanni Lembo, magistrato della Procura Nazionale Antimafia, che ha gestito la sua collaborazione, ha riconosciuto l’attività di abuso commessa dallo stesso dott. Lembo e diciamo di una serie di falsificazioni, ha riconosciuto la calunnia in mio danno, però non si comprende perchè tutte queste attività illecite riconosciute dalla sentenza non siano state fatte per favorire la mafia ma per altri fini” . Entro novanta giorni saranno depositate le motivazioni della sentenza.
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