Catania: cronaca di una morte annunciata

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È una morte annunciata quella del Calcio Catania.

Annunciata da quando la trattativa con Joe Tacopina è clamorosamente sfumata dopo lunghi mesi di tira e molla tra annunci roboanti sui giornali, specialmente locali, ansiosi di celebrare il nuovo patron a stelle e strisce.
Ma l’avvocato statunitense- mica scemo -ha scelto di desistere stante l’ingestibile mole di debiti accumulati e l’inerzia dei venditori, non si è mai compreso se troppo ingordi o del tutto digiuni di contabilità aziendale.

Uno dei momenti topici di questa vicenda pirandelliana è stato quello della firma di un fantomatico accordo preliminare, celebrato dalla solita stampa locale cortigiana che prese per buona l’apposizione di un sigla su un foglio protocollo – probabilmente bianco- tra acquirente e venditori con il sindaco in versione durban’s a fare da testimone di una nulla assoluto.
Tra strette di mani e flash dei fotografi dinanzi ad una città intontita e meno “sperta” di quanto spesso si pensi.

Il grande mistero di tutta questa storia è la Sport Investment Group Italia: un acronimo anglicista sotto cui si nasconde un piccolo drappello di investitori (?) che si porterà addosso la responsabilità storica dell’abisso.
Qualcuno pensa che fosse il tornaconto politico la scaturigine dell’impegno di codesti capitani coraggiosi in salsa lavica – tanti gli ex esponenti politici targati centro destra nel sodalizio- talaltri hanno avanzato l’ipotesi di creditori poco adamantini che andassero garantiti purchessia (siamo in
Sicilia non a Montecarlo) certo è che molti tra costoro hanno indossato la cravatta per la prima volta credendosi veri manager ma senza possederne conoscenze, portafoglio e standing.
Sta di fatto che la storia volge al termine e la messa in mora per gli stipendi non pagati sancisce l’inizio della fine della società tanto amata dagli sportivi catanesi.

Una delle più clamorose eterogenesi dei fini è rappresentata dal fatto che la campagna-pro matricola avviata dall’ex assessore della giunta Bianco Fabio Pagliara è culminata con la proprietà detenuta da una cordatina di imprenditorini litigiosa con pochi quattrini ma tante parole vacue guidata da uno dei tanti – troppi – avvocati catanesi che due anni addietro era sceso dal suo ferrarino per farsi omaggiare da una plebe, meno arguta di quanto si possa pensare, come il nuovo nocchiero del “Catania46”.
Fa ridere, se non facesse piangere, avere auspicato quale realizzabile in un città con il 50% di disoccupazione giovanile e con una moria di impresa quasi post bellica il modello dell’azionariato diffuso, una delle tante utopie di certa sinistra fru fru.

Tutto sta per andare in vacca invece.
E una chiamata in correità – morale se non altro- la merita, mi ripeto, la stampa silente ed omaggiante di questa città che persevera nella sua ricerca del nuovo padrone cui genuflettersi, paurosa come non mai di fare qualche domanda in più e limitandosi a reggere adulante il microfono tra una domanda sul colore preferito ed il gusto della granita prediletto.
Nè possono essere taciute le culpae in vigilando di una cittadinanza che -male informata com’è – fa fatica di suo a rendersi conto delle cose in tempi ragionevoli con il corredo di un tifo organizzato sonnacchioso sino all’ultimo atto della commedia.
E least but non last un tribunale fallimentare che, chissà sulla base di quali parametri oscuri a noi digiuni di pandette, ha consegnato un patrimonio della città in tali mani.

Bisognava rinunciare alla matricola – cinque numeretti che poco o nulla significano quando lo spettacolo offerto diviene quello, sconcertante, a cui stiamo assistendo – e ricominciare da zero con una proprietà non autoctona.
Finirà comunque così, ma il troppo tempo perso e la prossima discesa negli Inferi gridano vendetta per un finale che sarebbe potuto, e dovuto, essere diverso

Luca Allegra.

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Benanti

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