“Il 25 novembre è una data simbolica, ma la lotta agli abusi contro le donne è un impegno quotidiano: la galleria vuole contribuire a sensibilizzare le coscienze, soprattutto quelle dei giovani, affinché siano consapevoli e capaci di riconoscere e contrastare qualsiasi forma di prevaricazione”: a dichiararlo è Sabrina Di Gesaro, direttore artistico del “Centro d’arte Raffaello” […]
Catania e quella destra che (non) guarda alla società civile
Pubblicato il 19 Marzo 2023
di Marco Iacona
Di nuovo è tutto un gran parlare di destra. Ai tempi di Berlusconi prevalevano la curiosità (da parte della cosiddetta società civile) e la preoccupazione (da parte della sinistra), oggi si nota un seppur vago sentimento (di volontà) di riscatto, (quasi un inizio e indizio di perdono) forse per aver troppo esagerato con taluni accostamenti al fascismo, ieri e ieri l’altro, seppur legittimi.
Merito di Giorgia Meloni: sì o probabilmente sì. Certo è che un po’ dostoevskijanamente una donna è riuscita a riscattare il passato non proprio felice di un ambiente per intero. Le femministe non saranno contente data la sostanza un po’ troppo maschilista e patriarcale della cosa in sé, certo poi l’idea che l’avversaria della Meloni sia la nuova segretaria del Pd, che sembra messa lì di proposito per spazzar via definitivamente certa tradizione, tra lo strapaese, lo spaghettaro e il mandolinaro, di casa nostra, grazie alla messa in scena di un personaggio di nuovissima generazione (non una donna come la “immagineremmo”, non “solo” italiana e “sufficientemente” ricca), una donna che vorrebbe essere di sinistra pur di fatto non essendolo (anche questa se ci pensiamo però è tradizione nostrana…) facilita e di molto le cose. Se però la mettiamo dal punto di vista della stratificazione sociale, per usare un linguaggio sociologico, risulta difficile pensare chi tra le due abbia maggior facile accesso alle risorse materiali e simboliche date da potere, ricchezza, prestigio e cultura. Probabilmente finirebbe con un bel pareggio (anche per questo siamo italianissimi). Ma se ci si rilette ancora e si conosce un po’ di storia non si tarderà a riconoscere nella destra quel popolarismo (lasciamo perdere il populismo) tipico delle lontane origini della società di massa, quando cioè la rivoluzione, si diceva, fosse a portata di mano e di fucile, mancando solo le forze politiche che la traducessero in atto. I socialisti un po’ come oggi non ne erano capaci, in tal modo come si ricorderà nacque la figura di Benito Mussolini. La nuova leader piddina riuscirebbe quindi, paradossalmente, a far bene alla destra che potrebbe ancor di più inserirsi nelle maglie della società civile, creando (e probabilmente dal nulla) quel benedetto feeling col popolo sovrano mai del tutto nato e in ogni epoca, se si escludono gli anni Venti-Trenta e (sia chiaro: in parte) quelli della ricostruzione.
Non era nato ai tempi di Berlusconi quando ancora per buona parte del paese quei modelli sarebbero stati troppo poco sostenibili, fittizi, costruiti su un paese che rifletteva su se stesso attraverso gli inganni della tivù commerciale, le speranze di una destra missina che come i proletari di Preve non sarebbero mai stati in grado di sostenere il peso del potere e una lega chiassosa e culturalmente nulla. Quando Salvini venne a Catania qualche anno fa, sembrava di stare in mezzo a una folla attratta da un “Venghino signori, venghino…” espettorato da un tipetto ben rasato ma con dopobarba dozzinale. Oggi è un’altra cosa, ma bisognerà lavorarci ancora. Ad attestarlo pure le recenti ricerche di Vassallo e Vignati (“Fratelli di Giorgia”, il Mulino) che colgono la destra al passaggio tra una soggettività politica poco matura, secondo certo sentire democratico anzi liberal-democratico. e una formazione genuinamente conservatrice in politica e nei costumi. E siccome la simbolicità degli accadimenti del mondo è parte fondamentale del nostro essere soggetti “percepenti”, la morte di Concutelli può ben significare (non la scomparsa ma) il ridimensionamento (attenzione: politico, metapolitico, metasociale, teorico e quant’altro) di certi autori posti a fondamento della destra neo-fascista che intendeva muoversi non nel senso di una elaborazione conservatrice (conservare cosa?) ma tradizionalista e/o reazionaria. E di differenza ne faceva e molta. Evola e Romualdi (Adriano) – mi riferisco al pezzo uscito su il Giornale che appunto commentava la morte di Concutelli – non avrebbero mai permesso un ingresso della destra nell’agone politico della contemporaneità (anche in senso concettuale), Mishima e Celine non ne avrebbero mai placato i furori iconoclastici anti-occidentali in senso pieno (e orario continuato). Da ciò, come sappiamo le numerose ipocrisie di una destra, nella sua formazione nazionale, che predicava X e rastrellava Y.
Fin qui tutto facile. Facile però fino a quando – grazie all’amico Marco Benanti che nonostante la mia lontananza dalla città sovente mi aggiorna sulle vicende della politica catanese – non ci si imbatte nelle vicende elettorali della Milano del Sud (come diceva Piovene) o della “Semprerifiorente” (come scriveva Santi Correnti) e qui casca l’asino, qui il lavoro fatto dalla Meloni e dai suoi curatori d’immagine e dai fiancheggiatori intellettuali si arena di fronte – vorrei usare un termine forte alla Giorgio Bocca – a una decomposizione ancora in atto dell’ambiente meridionale. Gli è che di quel tentativo coraggioso, palpabile, perfino pregno d’affabilità messo in opera dai “Fratelli di Giorgia” ai piedi dell’Etna non c’è traccia. Netta è ancora la sensazione che la classe politica “di destra” del catanese (nessuno escluso) non rispecchi in nulla e per nessuna “qualità” la società civile (e se invece la rispecchiasse in tutto e per tutto?) che si dà per bisognosa d’ogni cura e meritevolissima di attenzioni. Ma siamo alle solite. Il “potere” espresso dalla destra (peggio, molto peggio che nel periodo fascista) si dà per “potere” in modalità occupazione. Essendo netta la divaricazione non solo di classe, ma anche e conseguentemente, di scelte operative, di relazioni e dinamiche con la restante parte della città, quella che in democrazia conta davvero. Qui ricchezza, potere, prestigio e cultura (o qultura) non sono affatto distribuite con logica democratica. Era questo che il vescovo voleva dire l’altro giorno, ed è questo che la destra catanese non riusciva e non riesce a comprendere. Vada per i leghisti, fallimento ultraventennale della politica italiana (i leghisti sono la pietra angolare tra la una Repubblica “seria” e una Repubblica pentastellata), vada per i Berlusconi-boys a caccia di tipe, denaro, fama e belle macchine, ma per la borgatara Meloni, immagino, si tratterebbe (se confermata) di schizofrenia pura. A meno che non si voglia fare, di nuovo, il solito discorsetto, secondo il quale la destra in quanto destra non potrà mai (mai!) rendersi protagonista di una “rivoluzione”, non potrà cioè (parolaccia) divenire bensì restare (altra parolaccia) nel proprio essere, essere appunto “conservatrice”. In questo caso tutto andrebbe, come per magia, a posto e scusare certo frasario parmenideo. Resterebbe da comprendere bene il ruolo della Chiesa catanese; ma sì sa dai tempi del “Sillabo” di acqua (santa) ne è passata fin troppa sotto i ponti, i conti e mettiamoci pure i tonti.
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