Catania, fu diffamata in aeroporto davanti a tutti: condannato sindacalista

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La vicenda di una dipendente della Sac finisce in Tribunale: che afferma un principio, in tema di diritto di critica sindacale….nella foto l’avvocato Carmelo Calì, legale della Parte Civile.

di Iena con le Ali

Quali sono i limiti nella “battaglia” sindacale? O meglio nella “polemica”, nella critica sindacale o simili, ci sono confini o regole da non violare? Negli ultimi tempi, la Cassazione ha emesso sentenze che definiscono meglio il quadro in evoluzione di questa materia che, come tutte quelle riguardanti la libertà di espressione e la manifestazione del pensiero, sono sempre suscettibili di distinguo, precisazioni, magari anche di “cambiamenti di rotta”.

Di recente, un caso giudiziario ha riproposto il tema: è accaduto a Catania, dove il giudice Michele Fichera, della quarta sezione penale del Tribunale, ha condannato –a 800 euro di multa, con una provvisionale di 5000 euro in attesa della liquidazione in sede civile del danno- per diffamazione un sindacalista della Cgil, Alessandro Grasso. Il Pm dott.ssa Riccioli aveva chiesto anche lui la condanna.

Il processo è partito dalla querela di Willy Diana Pittari, una dipendente della Sac, la società di gestione dell’aeroporto di Fontanarossa. La donna, responsabile del settore “biglietteria”, ha sporto denuncia a seguito di una lettera, a firma delle Rsa Filt Cgil e Fit Cisl, contro di lei, affissa, nel gennaio del 2008, accanto all’orologio marcatempo Sac-Ata-Gh. Un luogo, quindi, visibile non solo dagli operatori aeroportuali ma anche dai passeggeri.

Insomma, come avrebbero detto i latini, la donna era stata -“coram populo” – descritta, dal punto vista professionale, in termini molto negativi: secondo la donna e il suo legale, l’avv. Carmelo Calì (nella foto), si trattava di accuse oltremodo lesive dell’onore e del decoro della persona e del lavoro della stessa. Nella lettera, infatti, venivano mossi specifici addebiti alla Pittari. Di qui, la querela. Non solo: il fatto –secondo la ricostruzione della donna, che si è costituita parte civile nel processo- era nato nel clima di astio nei suoi confronti da parte della rsa Cisl e Cgil seguito alla sua promozione a responsabile del settore “biglietteria”.

“Da quando ho avuto questa promozione –ha dichiarato durante il dibattimento la signora Pittari- è iniziata una campagna diffamatoria nei miei riguardi da parte della Cgil e da parte della Cisl”. Eppure, nella ricostruzione della sua carriera, la donna ha sottolineato che questa promozione è stata il risultato del suo grande impegno nel lavoro e dei risultati brillanti ottenuti, avendo contribuito con la propria opera all’incremento delle vendite nonché al riordino dell’intero comparto cui era preposta in azienda.

Di qui, secondo la ricostruzione della parte civile, questo clima di “veleno”, sino alla predisposizione della lettera, cui qualcuno però si era rifiutato, al contrario di Alessandro Grasso, di apporre la sua firma. Come nel caso di Adolfo Indelicato, della rsa (rappresentanza sindacale aziendale) Uil, che era stato sollecitato, il giorno prima dell’affissione, da Grasso ad aderire con nome e cognome. Indelicato, però, leggendo la missiva e non condividendo le espressioni riguardanti la signora Pittari, si era rifiutato. “…io consigliai –ha detto Indelicato in aula- di non trascivere, di non presentare quella lettera perchè non lo ritenevo opportuno perché tutto quello che c’era scritto in quella lettera non era vero…”.

E infatti, le reazioni contrarie non tardarono ad arrivare. Ben nove dei dodici impiegati del settore biglietteria, sottoscrissero una lettera in cui rilevavano che: “in riferimento alla lettera inviata ai dirigenti SAC ed affissa vicino l’orologio marcatempo, i lavoratori addetti di biglietteria si dissociano perché non condividono e smentiscono le esternazioni personalistiche delle RSA CGIL e CISL. Si fa presente che la responsabile Sig.ra Pittari Diana Willy non ha creato nessun clima di pesante intimidazione e tratta tutti i lavoratori con rispetto e dignità senza ledere alcun diritto. Inoltre confermiamo la nostra fiducia e stima, nei confronti della Sig.ra Pittari Diana Willy, sia per la sua capacità professionale che per le sue doti umane e per la serenità e armonia del clima creato nell’ambito lavorativo.”

Insomma, una storia “ordinaria” o quasi nel sempre più difficile e contradditorio mondo del lavoro, soprattutto dalle nostre parti. Ma c’è di più. Il processo è stato anche occasione per affrontare il tema della critica sindacale, aspetto sottolineato, fra l’altro, dalla Difesa dell’imputato. Di recente, la Cassazione si è pronunciata sull’argomento.

Il caso è stato quello di un sindacalista che, in una lettera inviata alla direzione di un’azienda, ha attribuito ai capi servizi della medesima “incapacità e persecuzioni che creavano un clima di tensione e confusione sul lavoro”. La Suprema Corte ha osservato che benché le frasi si calino in un contesto della polemica sindacale che dilata il confine della continenza, esse operano un’attribuzione generica e indiscriminata di difetti e comportamenti delle persone, senza riferimento ad episodi per sé oggetto di critica e come tali non sono scriminate, in quanto investono le qualità personali di coloro cui si riferiscono.

Nel caso Pittari-Grasso, il legale della parte civile ha sottolineato, tra l’altro, nel chiedere la condanna dell’uomo, come il decoro “assume un’importanza forse maggiore che in altri aspetti della vita del soggetto, stante che anche la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che il legittimo esercizio del diritto di critica dell’altrui operato deve rimanere ancorato ad un dissenso motivato su basi tecnico scientifiche e deve essere espresso in termini corretti, misurati ed obbiettivi e, comunque, tali da non assumere toni lesivi della dignità morale e professionale (Cass.28.05.1985, n.5490).

Il diritto di critica, pertanto, dovrebbe essere esercitato nel rispetto di altrui diritti di valore altrettanto significativo, quali quelli che si compendino nell’apprezzamento, rispettabilità e dignità personale (art. 2 Cost.)”

Ha continuato l’avv. Calì: “l’offesa all’onore e al decoro si è, infatti, realizzata attraverso l’imputazione di fatti e comportamenti che certamente hanno ingenerato nell’ambiente socio-professionale in cui opera la Parte Civile un senso di disistima non soltanto verso le qualità intellettuali e professionali ma anche morali”. Inoltre, ha evidenziato la Difesa della parte civile che “…la condotta falsamente addebitata è stata, infatti, esposta in modo tale da essere esattamente percepita ed individuata.

Peraltro, come già rilevato, lo scritto diffamatorio è stato affisso in diversi luoghi della struttura aeroportuale, giungendo così a conoscenza di un numero non definibile di soggetti…”. Il tribunale, accogliendo le richieste della parte civile, ha recepito l’orientamento della Suprema Corte in tema di critica sindacale affermando la responsabilità penale del sindacalista, la cui Difesa ha annunciato appello.

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Redazione Iene Siciliane

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