Catania, il 10 febbraio i veri storici staranno a casa


Pubblicato il 08 Febbraio 2020

di Pippo Basovizza

10 febbraio. Il problema della “destra” con la propria storia si ripresenta puntuale nel giorno dedicato al ricordo dei fatti accaduti al confine orientale. Il ragionamento è semplice. C’è una pubblicistica infinita d’area – quotidiani, giornali, ecc – che ha svolto inchieste sul campo e ha raccontato  fatti e fattacci, come si dice, in tempo reale; destra che ha seppellito eroici-cronisti, destra che ha dovuto guardarsi le spalle, ben prima che ciò avvenisse nei Settanta, dal comunista-partigiano, armato e assetato di sangue; bramante “giustizia” popolare, lì lì per compiere la propria personale rivoluzione, pronto anch’esso ad accreditarsi come antifascista attivo e “liberatore”.
Il prezzo da pagare sarebbe stato minimo al confronto del guadagno pratico e dell’essere nella storia. Follie, crimini che la pubblicistica di destra dell’immediato dopoguerra sapeva ben raccontare (e di storie ne ha raccontate!), questioni che i parlamentari missini trasferivano in parlamento e dai quali, a volte, sorgeva un minimo dibattito.
Ma nessuno o quasi nessuno ne sa nulla. Eccetto gli storici preparati e non mi sembra cosa da poco. Gli invitati per la conferenza del 10 febbraio, a Catania (il primo è un uomo per bene autore di un volume sul ginevrino Sismondi nato nel 1773, dunque ahimè fuori contesto, il secondo, invece, a dispetto della sua aria da democriteo (“parlerò di tutto”), dà l’idea di non aver mai oltrepassato, e non solo visibilmente, il casello di San Gregorio), non fanno altro che confermare che per propri demeriti, cioè per non aver scommesso sulle proprie forze, la destra cialtrona o si affida alla sinistra “pentita” e burlona che desidera trovare nuovi spunti ermeneutici (Risum teneatis amici?) o sarà destinata, per i secoli a venire, a cavalcare il proprio ridicolo dilettantismo, fino a tornare ad essere, dopo qualche fuoco d’artificio nei Novanta, del tutto marginale.
Ma appunto, di storici preparati qui a Catania su talune questioni alternative, non ce n’è. E se ce ne sono, staranno a casa. Ragioni di scuole, di indirizzi di studio, di scuderie (“e di altro”, aggiungerebbe Zuccaro). Perfino le storie raccontate da Pansa si conoscevano ben prima che diventassero il tormentone prediletto dell’ex collaboratore di Eugenio Scalfari. Una pubblicistica consistente, informata, dettagliata, della quale si è persa memoria (già, la memoria), e che in pochi, a parte quelli che custodiscono gelosamente il proprio “capitale”, s’impegnano a gestire. Per certo la Catania-nera non vale un fico secco per quanto riguarda la cura della memoria del Msi, di altre forze politiche “alternative” e delle questioni che a tamburo battente il Msi sollevava con evidente competenza, soprattutto poi a livello universitario dove, anzi, si scontano le maggiori chiusure, dovute a “scelte” diciamo cosi di stampo “conservatore”.
Dunque, le manifestazioni legate al ricordo delle foibe e dell’esodo al confine, a due giorni dal 10 febbraio si mostrano già per quel che sono: una letargica boccata d’aria fritta. Ecco: la messa in onda del catanese-medio con quel desiderio di essere lì proprio lì, con quella voglia di sedere alla mensa dei “grandi”, di partecipare, di dire la propria pur non possedendo conoscenze a sufficienza; con quel desiderio di lasciare il segno, di parlare alle masse ignoranti. Ecco: di ignoranza la città agatina ne produce a palate, vi stupite? Sì?


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