Catania pallonara: un fallimento simbolo di una città

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La cosa che sorprende più di ogni altra chi scrive è il moto di sbalordimento che aleggia in città per la defenestrazione del Catania dal campionato.
Per carità le modalità sono clamorose con un’esclusione decretata ad un mese dalla fine del torneo con il grave riverbero per le altre contendenti oltre alla ferale umiliazione per la città.
Al più gli organi federali dovrebbero chiedersi come mai autorizzino iscrizioni con una modalità così rilassata anche in presenza di fattispecie, come quella relativa alla società etnea, in cui le criticità erano autenticamente sesquipedali e non occorreva essere un esperto di contabilità societarie per dedurle ab origine.

Quello che ci interessa, tornando alla sorpresa di cui sopra, è la coincidenza tra lo stato della città ed il naufragio della squadra di calcio che la rappresenta: tutto è complementare e coerentemente logico.
C’è qualche buontempone che in giro favoleggia ancora de la “Milano del sud” quando il tessuto economico cittadino è talmente sdrucito da essersi ormai quasi volatilizzato
E le modalità gestionali di Sigi, manipolo di imprenditorini locali epitome di quel nanismo da intrapresa anni ’80 sconfitto dalla Storia, lo mostrano in tutta la loro evidenza.
Le percentuali di disoccupazione giovanile in città sono a due cifre e con il quattro (se non con il cinque) davanti, un oceano di concittadini di tutte le età percepisce il reddito da cittadinanza, l’abbandono scolastico presenta numeri da quarto mondo e la città assomiglia nel suo complesso più ad un suk mediorientale che ad una metropoli europea.
In questo contesto perché il calcio dovrebbe andare in controtendenza e brillare di luce propria?
Segue semplicemente il degrado cittadino che sta toccando precipizi mai visti negli ultimi trent’anni. Fa oltremodo ridere, lo si dice per non piangere – come il fallimento del Catania avvenga sotto la sindacatura, ancorché sospesa (a proposito ad libitum?) dell’ex ultrà Pogliese che piuttosto pochino si è distinto in termini di moral suasion nella ricerca di potenziali acquirenti. Deduciamo che il primo cittadino non abbia nella sua agenda i numeri di telefono giusti di potenziali investitori, sempre che ne conosca qualcuno oltre il casello di San Gregorio e che abbia preferito sorridere, in piena tribuna coperta del Massimino peraltro, a trentadue denti a Benedetto Mancini confidando nell’operato del suddetto.

Tacciamo per carità di patria commenti ulteriori che gli eventi hanno già tratteggiato a sufficienza il quadro.

Chiosiamo con una convinzione: se tutto resta immutato ben difficilmente un progresso sul terreno verde potrà provenire da forze imprenditoriali locali

Resta sperare nel papa straniero confidando che non sia un avvoltoio
Che in questa storia ce ne sono già stati tanti.

Saluti speranzosi e spaventati.

Luca Allegra.

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Benanti

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