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Catania pallone&bestialità: Gianni Coppola ci indica una luce in mezzo al buio

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Quando è finita la partita Padova-Catania ho deciso che non avrei scritto nulla su quello che era successo nell’intervallo, su quella follia che purtroppo rischia di coinvolgere una intera comunità. Perché scriverne avrebbe significato trattare argomenti che con il calcio, con lo sport in generale, non hanno nulla a che spartire; avrei dovuto discutere di sociologia e antropologia e non avevo voglia.

Ma oggi ho letto un articolo afferente una dichiarazione di Filppo Leuzzi, il bambino di Rimini, tifoso della squadra della sua città, affetto dal morbo di Perthes (una malattia che comporta la distruzione della testa di un femore) che lo costringe su una sedia a rotelle, che durante le due partite della semifinale tra Rimini e Catania è stato accolto ed ha accolto i colori rossazzurri. Filippo ha vissuto una giornata di intense emozioni a Catania in occasione della gara di ritorno della semifinale contro il Rimini, ospite dei club Liotrizzati e Vanedda Cucchiara, tanto da diventare pure un tifoso del Catania.

Filippo è andato a Padova ad assistere alla finale e tifare per la sua nuova squadra del cuore: il Catania.“ Sono qui a Padova per dare un aiuto ai tifosi del Catania”, ha detto con un sorriso disarmante in un video prima della partita. Ma dopo i disordini ha lasciato lo stadio, ha rilasciato una dichiarazione intrisa di amarezza e sconforto, “Ho lasciato lo stadio di Padova piangendo. Il calcio non è questo”, deluso per aver visto ciò che la sua passione e la sua ingenuità gli avevano nascosto: la violenza della inciviltà. Filippo mi ha insegnato molte cose quando ha fatto il giro del campo al Massimino, salutando la gente che non era la sua gente, tifosi della squadra avversaria, che indossavano altri colori e intonavano altri cori; e lo ha fatto con la sua dolcezza e la sua illibata ingenuità, che in un ambiente disumanizzato e disumanizzante come quello dello stadio e del calcio (forse sarebbe giusto scrivere come il mondo) è rarità che va in direzione ostinata e contraria.

Mi ha istruito sulla differenza che passa tra passione e identità, concetti che io prima di Filippo assimilavo in un unico significato e che invece ho scoperto grazie a lui che sono separati; mi ha istruito sulla speranza che dona forza, sulla forza che dona sorriso, sul sorriso che dona civiltà, quello di cui qualcuno nella mia città, e non solo a Catania a dire il vero, avrebbe bisogno a grandi dosi. Filippo è ciò che serve al mondo più che al calcio, è l’antidoto alla mentalità belluina della società, è l’armonia delle distanze, il rispetto delle differenze. Ma è anche la cura per ritornare al calcio romantico, quello che non c’è più, quello che se pur disumanizzato dalla frenesia dell’utile, dalla immarcescibile corruzione e dalla violenza ferina dei subumani, vuole sopravvivere, perché in modo ostinato vuole donarci ancora emozioni e gioie e vuole ancora permettere ad un padre di portare un figlio allo stadio senza il timore della tragedia.

La sconfitta della città di Catania non verte solo sul risultato della partita, così come non è solo nelle follia belluina di 50 teppisti; la sconfitta di Catania è nella fuga di Filippo dallo stadio alla fine del primo tempo, con ancora la sciarpa rossazzurra al collo, che forse avrà tolto con disappunto e disgusto. Pertanto, suggerisco al sindaco di Catania di invitare, questa volta come istituzione, Filippo Leuzzi e la sua famiglia, ospitarli per la partita semmai si disputerà davanti un pubblico e, dulcis in fundo, conferirgli la cittadinanza onoraria. Tutto questo per continuare a sperare e sorridere.

Giovanni Coppola.

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Iene Sicule

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