Intervista esclusiva al magistrato Nicola Gratteri, premiato in occasione dell’anniversario della strage di via D’Amelio.
Di Marco Benanti, iena memoria storica
Quest’anno, la quarta edizione del premio “Borsellino, Eroe Italiano”, promosso dal vicepresidente vicario del Consiglio comunale di Catania, Puccio La Rosa, dall’associazione “Scam” e dall’associazione culturale “La Contea”, è stato assegnato a Nicola Gratteri (nella foto con Puccio La Rosa), 58 anni, calabrese originario di Gerace, procuratore aggiunto a Reggio Calabria. Un uomo che vive sotto scorta dal ’89 e dà battaglia, da magistrato, ogni giorno, all’organizzazione criminale che controlla il traffico di cocaina in Europa, la ‘ndrangheta. Insomma, un vero e proprio mostro, che condiziona milioni di vite, e anche stati ed economie. Il premio, che ha il riconoscimento dei patrocinii della Presidenza della Camera dei Deputati e dell’assessorato regionale al Turismo, è stato consegnato, nel corso della serata, a Gratteri “per il costante impegno –questa la motivazione- nella lotta ad ogni mafia e per l’affermazione dei valori di legalità e giustizia”.
Lo abbiamo incontrato, in questa occasione: a Catania, per lui è stato una sorta di “ritorno” visto che, tanti anni fa, proprio a Catania si è laureato in giurisprudenza, con una tesi di diritto civile.
Dott. Gratteri, in generale, qual è lo stato della lotta alla mafia? “Allo stato, malgrado tutti gli sforzi, stiamo ‘pareggiando’ la partita, per usare un termine calcistico, perché con questo sistema giudiziario di più non si può fare, se non si cambiano le regole del gioco non ce la potremo fare. Noi abbiamo in questo momento la legislazione antimafia più evoluta al mondo in Italia, però siamo l’unico Paese al mondo ad avere quattro mafie potenti, che sono ben addentrate nel mondo economico…”
Che cosa bisognerebbe fare? E’ un problema di mezzi, di uomini, di tecnologia? “No, prima che parlare di mezzi e di uomini, dobbiamo parlare di cose quasi banali, cioè noi per arginare il fenomeno mafioso dovremmo informartizzare il processo penale, per velocizzarlo e creare un sistema penale e processuale tale che non sia conveniente delinquere. Noi dobbiamo parlare di convenienza. Pensare che un capomafia dopo cinque, sei anni è fuori dal carcere anche per una condanna per associazione mafiosa e sapendo che cosa vuole dire essere capomafia di un paese, vuol dire controllare i respiri, il ‘battito cardiaco’ di un paese. E quindi, noi avremmo bisogno di un sistema meno conveniente, cioè un sistema carcerario diverso, un sistema processuale informatizzato per abbattere i tempi, i costi e il potere discrezionale nel processo”.
Quando viene in Sicilia lei che vede? Che differenze vede con la Calabria? “Forse la Sicilia è un po’ più aperta rispetto alla Calabria, però, vedo comunque una mafia evoluta come è la ‘ndrangheta oggi, una mafia che è già ben addentrata, ma da tempo, nel mondo dell’imprenditoria, dell’economia, del terziario, della grande distribuzione”.
La ‘ndrangheta, nel traffico di droga, è una sorta di leader internazionale. Quali –se ci sono- i rapporti con i gruppi siciliani? “Ma, buonissimi. Sì, ci sono. La ‘ndrangheta, in questo momento, per quanto riguarda il traffico di cocaina, ha quasi il monopolio nell’importazione in Europa, perché è riuscita ad essere molto credibile nei confronti dei cartelli colombiani, sia perché ha avuto, in passato, grande liquidità di denaro proveniente dai sequestri di persona, poi non avendo il problema, l’handicap -visto dal lato delle mafie- dei collaboratori di giustizia, l’ndrangheta riesce ad essere molto più credibile rispetto a Cosa Nostra, perché è l’unica mafia che riesce a comprare la cocaina in Colombia in conto vendita, mentre, ad esempio, alcune volte ci è capitato di vedere uomini di Cosa Nostra sequestrati dai cartelli colombiani a garanzia e pagamento della droga, già arrivati in Italia”.
I rapporti con le cosche catanesi? “Sono buonissimi, certo, ma da tantissimi anni. L’ndrangheta già da decenni vende cocaina alla mafia e alle organizzazioni criminali catanesi e palermitane. Ormai da decenni, è un rapporto consolidato”.
Si può descrivere, come dire, una linea di rotta degli stupefacenti: oggi da quali Paesi passa, almeno i principali paesi? “La droga parte dalla Colombia, non direttamente con le navi, ma sulle navi sale nei Paesi più a sud della Colombia, tipo Perù, Brasile, Uruguay, Cile, ma questo perché in Colombia c’è un maggiore controllo, un maggiore contrasto, poi arriva con le navi preferibilmente nei Paesi del nord Europa e una minima parte della droga che passa dal canale di Gibilterra, anche perché il Mediterraneo è forse il mare più sicuro al mondo, il più controllato al mondo, sia dai francesi che dagli italiani. Malgrado che abbiamo sequestrato tonnellate di cocaina nei porti italiani, il grosso della droga arriva nei porti del nord Europa o della Spagna che si affaccia sull’Oceano”.
Oggi, è l’anniversario della strage di via D’Amelio. Che ricordo ha di Paolo Borsellino? “Io non ho conosciuto Borsellino, un paio di volte mi è capitato di incontrare Falcone a dei convegni. Io ho letto molto sia di Falcone che di Borsellino, la cosa che posso dire che mi ha più impressionato di Borsellino è più l’uomo che il magistrato”.
Cosa, in particolare? “In particolare, la sua coerenza, la sua asciuttezza, l’essere un uomo essenziale, asciutto, l’essere una persona con la schiena dritta, un uomo molto concreto, di poche parole, un uomo vero”.
Ha senso difendere uno Stato che tratta con la mafia, a suo avviso? “Guardi, non vedrei la situazione da quella angolazione da cui lei mi fa la domanda –ed è una domanda provocatoria- io le dico che intanto noi dobbiamo fare il nostro dovere, per poter parlare dobbiamo essere coerenti con quello che è il nostro ruolo, la nostra funzione, quindi, intanto noi facciamo il nostro dovere, per poi poter criticare gli altri. Noi dobbiamo fare quello che stiamo facendo cercando di dare tutto noi stessi, perché ci sono migliaia di persone che credono in noi, perché ci sono migliaia di persone per le quali noi siamo l’ultima spiaggia”.
Lei come vive? Sotto scorta dalla mattina alla sera? “Dall’ 89, dall’aprile ’89.”
Rifarebbe tutto quello che ha fatto? “Sì, farei forse meno errori rispetto a quello che ho fatto, però certo che rifarei quello che ho fatto”.
Il rapporto mafia-politica:a suo avviso, ci sono delle evoluzioni? “Sì, ci sono evoluzioni, oggi sono i politici che vanno a casa dei capimafia a chiedere i voti, mentre venti anni fa erano i mafiosi che andavano ad offire il pacchetto di voti”.
Lei ha mai paura, durante la giornata? “Sì, la paura è un fatto umano, io ci parlo anche con la morte, perché non bisogna non parlarci, bisogna discutere, chiarire e razionalizzare. Farsi prendere dal panico non serve a nulla, io non riuscirei a tirarmi indietro perché mi sentirei un vigliacco e quindi non resta altro che continuare ad andare dritto in avanti, cercando di essere più coerenti, più seri e dare tutto sé stessi, non c’è altro da fare”.
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