A Catania esistono corporazioni.
Le corporazioni sono spesso costruite su relazione familistiche e di clan.
L’obbedienza, all’interno delle corporazioni catanesi deve essere totale.
Non c’è spazio per dubbi e nemmeno per disobbedienze. Si esegue senza discutere.
Uno dei più recenti esempi è dato dalla polemica dell’esclusione di Padre Resca e la sua CittàInsieme dalle commemorazioni per le morti di Falcone e Borsellino.
Padre Resca afferma che la sua esclusione dipende dal fatto che lo scorso anno nel suo discorso aveva inserito alcune affermazioni banali, ma che a Catania fanno scalpore. Ha detto ovvietà come la pervasività della mafia, laddove i poteri lasciano campo libero.
Disse che l’amministrazione comunale latitava e quindi la mafia spadroneggiava.
Due assessori dell’epoca, forse anche Trantino, oggi candidato a sindaco, davanti a queste banalità si siano indispettiti.
L’Associazione Nazionale Magistrati, a tutela del decoro e dell’assenza di polemiche, non ha invitato Padre Resca a ricordare i propri eroi.
Questo semplice fatto illustra alcune cose.
I magistrati non è vero che siano la quinta colonna del mondo progressista.
Forse è stato vero in passato, ma oggi non più.
La mafia è un argomento esotico, a Catania. Non deve riguardarci nel concreto. Se ne può parlare come fenomeno astratto, ma in pratica no, perché si rischi di offendere un primario, un candidato, un assessore, un amministratore sanitario, qualche primario, un amministratore delegato, un’associazione d’impresa o un sindacato, un medico o un professore, forse anche qualche magistrato che è sicuro in cuor suo di fare il proprio dovere.
Qualunque sia la ragione, nel concreto la mafia a Catania non c’è più, nel dibattito quotidiano e non va trattata come argomento.
Le corporazioni a Catania prosperano negli ordini professionali, ma a volte funzionano come i club service, assoluti estranei al fenomeno mafioso, ma che costituiscono un modello esemplare.
Potrebbero essere nascoste in organizzazione massoniche, anche quelle innocenti, ma con ritualità che possono fare invidia a quella mafia dei colletti bianchi che pretendono di avere un’immagine pulita, mentre le nostre città restano buie, sporche, malgestite.
Penseresti che i catanesi meno ricchi, che sono i due terzi della città, vogliano protestare contro queste corporazioni che soffocano le opportunità e hanno portato la bellissima Catania degli arancini al ragù a perdersi nei calcinacci che cadono da palazzi, ville e strade quasi di continuo.
In realtà scorri le liste dei conservatori della munnizza e delle macerie, come li ha chiamati un candidato a sindaco, e scopri che tanti esponenti della Catania dei ‘quatteri’ si candidano con i ricchi che non vogliono parlare di mafia, mentre consumano la città e la Regione.
Fanno da portatori di voto ed esprimono obbedienza.
Poi si chiedono come mai i loro figli sono costretti a partire per fare i camerieri a Bolzano, dopo aver studiato per anni.
La risposta, da Piazza Verga, non potrà arrivare.
La mafia non esiste, a Catania, nel concreto. Esiste solo come argomento di dibattito. E a parlarne sono le stesse corporazioni che non vogliono che si dica che la mafia c’è, a Catania. E molte persone con nomi e cognomi la rappresentano. Solo, non si dice. Potrebbero offendersi. E non è carino farli offendere, specie quando li hai accanto. Magari in una cena di gala.
Gaspare Quasimodo
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