“Non sarà certamente l’insano e barbaro gesto di qualche stupido a impedirci di far rivivere sui muri della nostra città i volti, ed i valori, degli Eroi che hanno dato la vita per la nostra terra. L’Amministrazione Comunale, insieme ai ragazzi dello Spazio Libero Cervantes e dell’Associazione Culturale Durden, provvederà in breve tempo a ripristinare il murales dedicato a Paolo Borsellino”. Lo ha reso noto l’assessore del Comune di Catania con delega alle Politiche Giovanili, Ottavio Vaccaro.
Il murales imbrattato era stato realizzato nello scorso mese di luglio dai ragazzi dello Spazio Libero Cervantes e dell’Associazione Culturale Durden, in occasione della ricorrenza del diciannovesimo anniversario dalla morte del Giudice Borsellino e degli uomini della sua scorta, con il patrocinio dell’Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Catania, retto dall’Assessore Ottavio Vaccaro: “Un gesto vile e ignobile” – ha affermato l’Assessore a Vaccaro – ad opera di chi dimostra l’ assoluta mancanza di rispetto per i valori della Legalità e della Lotta alla mafia. a cui noi rispondiamo coi fatti con il coinvolgimento di tutte le associazioni giovanili operanti nella città di Catania, organizzando una “Writers session” per fare diventare la circonvallazione cittadina una sorta di grande pantheon arredato dai volti degli eroi antimafia che hanno dato la vita per questa terra “.”Non sarà certamente l’insano e barbaro gesto di qualche stupido a impedirci di far rivivere sui muri della nostra città i volti, ed i valori, degli Eroi che hanno dato la vita per la nostra terra.
L’omicidio, certamente un delitto di mafia, segue di qualche giorno la clamorosa svolta nelle indagini sull’eccidio di via d’Amelio che ha portato la Procura di Caltanissetta a chiedere la revisione di uno dei processi celebrati sulla strage: quello a cui aveva contribuito il pentito, rivelatosi poi falso, Vincenzo Scarantino. E proprio Scarantino era stato uno degli accusatori di Calascibetta nella cui villa, durante un summit di mafia, il boss Totò Riina avrebbe comunicato a Cosa nostra la decisione di assassinare il giudice Borsellino.
Alla riunione segreta, che si sarebbe svolta i primi di luglio del ’92, avrebbe partecipato il gotha della mafia: Riina, Pietro Aglieri, Carlo Greco, Francesco Tagliavia, Giuseppe Graviano, Giuseppe La Mattina, Salvatore Biondino, i fratelli Natale ed Antonino Gambino, Cosimo Vernengo e, raccontò Scarantino, altre 4 o 5 delle quali non gli furono precisate le generalità. Calascibetta, incastrato da quelle accuse, fu sottoposto a un drammatico confronto con Scarantino.
Scarcerato tre anni fa dopo avere scontato la pena, era sottoposto alla sorveglianza speciale, una misura che comporta come sanzione accessoria la sospensione della patente. Per questo, per spostarsi, usava una microcar, un veicolo che può essere guidato anche dai minorenni. E nella piccola auto grigia è stato trovato morto, poche ore fa, dalla polizia intervenuta su segnalazione del 118. Il veicolo era a pochi metri dalla casa del boss, in via Bagnera, alla periferia della città.
I killer gli hanno sparato quattro o cinque colpi di pistola in faccia colpendolo all’orecchio e sfigurandogli il volto. Secondo le prime ricostruzioni il capomafia, che era disoccupato, stava tornando a casa. Giuseppe Calascibetta dopo essere stato scarcerato, secondo gli inquirenti, sarebbe tornato a ricoprire un ruolo di spicco nel quartiere di Santa Maria di Gesù, uno dei mandamenti mafiosi “storici” di Palermo, nella zona orientale della città.
“L’omicidio di Giuseppe Calascibetta è un segnale molto allarmante e ci fa temere che Cosa nostra abbia per il momento accantonato la preoccupazione delle possibili reazioni dello Stato a un fatto di sangue”. Il procuratore aggiunto di Palermo Ignazio De Francisci non nasconde la sua preoccupazione di un possibile ritorno in armi di Cosa nostra che, per definire le sue strutture di vertice, potrebbe aver abbandonato la strategia della sommersione.
“Calascibetta – spiega il magistrato – non era affatto una new entry in Cosa nostra. Vanta un curriculum criminale che risale agli anni ’80 e, subito dopo essere stato scarcerato, nel 2007, è tornato nei ranghi del mandamento di Santa Maria di Gesù”. “Dopo l’arresto dei capi locali – aggiunge – i fratelli Corso, era lui il capo mandamento”.
Quello che gli inquirenti devono ora accertare è se ad armare i killer sono stati rivali interni alla famiglia mafiosa o boss di altre zone.
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