iena rotante marco benanti
C’è un tempo per tutto, recita l’Ecclesiaste. C’è un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare, un tempo per lanciare pietre e un tempo per raccoglierle, un tempo per distruggere e un tempo per costruire. C’è, persino, un tempo per fare il segretario della Cgil di Catania e un tempo per “scadere”.
E quel tempo, per Giacomo Rota, si avvicina ineluttabilmente. Per statuto, difatti, tra poco più di un anno, il “Gran Khan” della Cgil catanese, dovrà passare, obtorto collo, il testimone. Ma, sia chiaro, con il solido ed esplicitato proposito di poter decidere chi, dopo di lui, siederà sulla poltrona di pelle da cui, in questi anni, ha segnato destini e carriere e “stroncato” senza pietà oppositori e ribellisti, adulato e “coccolato”, si racconta, quasi fosse il bambino della Kinder da una piccola e tremebonda, e sempre più piccola e tremebonda, corte di “amici”.
Ché compagni, pare, sia parola inadatta a contenere quell’afflato “intimistico”, quella “connessione sentimentale”, quell’assetto a testuggine che salda i “milites rotiani”, le sue “creature”, la sua invincibile “macchina da guerra”, praticamente, scherza qualcuno, “quelli di Grammichele e quelli dell’aeroporto” che nel tempo ha posizionato in tutti i posti chiave.
E così Rota se ne va, ma non subito, precisa lapidario al cronista che lo contatta telefonicamente: “Se qualcuno pensa che io lasci può toglierselo dalla testa – avverte – io non tolgo le tende e arrivo fino alla scadenza”. A meno che, aggiunge, qualcuno dall’alto non insista.
In quel caso, certo, potrebbe decidere di lasciare anche prima della scadenza statutaria, senza poter tuttavia, come Mazzarò, portarsi dietro la “roba”, cioè il Palazzo, e il chiostro del convento, e quella fontana in pietra lavica posta al centro del cortile da cui digradano stancamente i rampicanti selvatici. Lui, che a Catania si portò un po’ di Grammichele, e poi un altro po’, e un altro po’ ancora. Ché qualche funzionario oggi in disuso, ad un certo punto, indicando il Convento dei Crociferi, ebbe a dire al cronista: “Idea! Chiamiamola Camera del Lavoro di Grammichele!”
A far cosa andrà Rota da “scaduto” è argomento che appassiona soltanto Rota stesso e chi avrà l’onere di doverlo reimpiegare in qualche modo, con tutte le difficoltà, invero non poche a quanto pare, che il tentativo comporta vista “l’ingombranza” e l’appeal un po’ “rusticano” del “personaggio”. Negli ultimi mesi, Rota è stato indicato come “papabile” praticamente per tutto: segretario regionale di questa o quell’altra categoria, dirigente nazionale a Roma e magari, chissà, pure commissario europeo o presidente dell’Onu. Ma solo perché la Casa Bianca è già stata assegnata a quel vecchio quadro del Delaware. Purtroppo, però, i fatti hanno il volto truce della realpolitik e come in un gioco di domino, una dopo l’altra, le “tessere” vengono giù, con grave disappunto di Rota che pure meriterebbe, almeno secondo lui e forse solo secondo lui, ben più auree prospettive.
Le “caselle”, dicevamo, tutte occupate, persino quella di segretario della Fillea-edili regionale che dovrebbe andare al catanese Giovanni Pistorio, una figura, teoricamente, di “rango” inferiore a Rota, nella gerarchia interna, essendo attualmente Pistorio un “semplice” segretario di categoria provinciale. Ma sembra sfumata anche l’opportunità di “ascendere” al ruolo di segretario dello Spi-pensionati regionale, categoria che pare vada verso un avvicendamento che però non contemplerebbe né l’elezione di Rota né quella di Concetta Raia, che pure è componente della segreteria regionale dello Spi-pensionati, benché operante su Catania, al fianco di Carmelo De Caudo, braccio destro di Rota, attivissimo nelle campagne elettorali a sostegno di Raia, oggi segretario provinciale dello Spi-pensionati.
E proprio De Caudo sarebbe in pole, da quanto risulta a Iene Sicule, per la successione, o almeno così vorrebbero Rota, Raia, “quelli di Grammichele e quelli dell’aeroporto”. Una figura “di continuità”, una polizza sulla vita dell’ (ex)”Invincibile Armada”, passata dai fasti dell’artiglieria alla vacuità dei fuochi pirotecnici. “Carmelo è una bella figura”, dicono i rotiani. “De Caudo è parte del problema, non la soluzione”, risponde qualche critico. Al momento, però, le tende di Rota sembrano ben piantate nella sabbia del deserto, vegliate dalle prefiche e dai dervisci danzanti.
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