Ormai la guerra va avanti da un anno. No, da otto. No, dal 1989, no dal 1945 o dal 1870. Numeri dati col pallottoliere. È vero che l’Europa deve molto alla sistemazione che diede ai suoi possedimenti Carlo V, ma la realtà è che le guerre di oggi sono figlie dell’instabilità attuale e dalla rinascita dell’ignoranza sistematica. Questa ‘ignoranza sistematica’ colpisce un po’ tutto: accademie, scuole, centri di analisi, Stati.
Gli scossoni del 1989 hanno prodotto infatti molti rivolgimenti, ma il più letale è stato l’aggrapparsi della cultura al marxismo e a Hegel tal quali a quelli che regnarono prima del crollo del Muro di Berlino. Chi non avesse capito il riferimento al 1989, ora ha la sua risposta. Nel novembre di quell’anno, a seguito di una serie di equivoci e di fatti concreti, il muro di Berlino fu prima aperto e poi demolito a mani nude, martelli pneumatici, trapani e molti martelli, che abbandonarono provvidenzialmente le falci.
Le conseguenze di questa ferrea stretta agli insegnamenti sbagliati di molti cattivi maestri, hanno preso molti nomi: organicismo, strutturalismo, nichilismo, persino decrescita felice. Ma quel che fa più impressione è la poderosa spinta che il nichilismo vero ha dato alla cultura mondiale, ribadendo con forza le parole d’ordine del Partito dell’Uomo Qualunque, tanto esecrato e oggi vincitore di ogni concorso filosofico: ‘basta con le ideologie, si faccia quel che serve’.
Questo mantra, che faceva e dovrebbe fare inorridire chiunque, negli ultimi trent’anni è stato l’anima del vuoto di potere e di leadership che soffriamo ancora oggi. Crescita incerta, finanziarizzazione dell’economia, incroci di proprietà tra banche e imprese che hanno fatto fallire tanto le imprese che le banche, fino al coronamento del ‘si faccia quel che si deve’, coronato dalla regola che se la banca ha sprecato troppi soldi per salvare i suoi proprietari e i loro amici, può prelevare soldi direttamente dai conti dei correntisti.
Il ‘fare quel che serve’ senza ideologia, si è trasformato in azione senza idee, a parte il furto sistematico ai danni della ‘gente’. Quella ‘gente’ disprezzata dall’hegelismo di destra e sinistra che glorificava il popolo quando era ‘massa proletaria’ o ‘nazione’, ma non quando veniva visto con sospetto perché cercava di perseguire una vita libera e serena.
Il peggio di sé gli Stati lo hanno dato quando hanno cominciato a perseguitare la ‘gente’, insomma, in nome del ‘facciamo per fare, quel che si deve’. Con i membri delle ‘classi’ e della ‘nazione plaudenti. La corruzione è aumentata e i valori fondanti della Repubblica sono stati dimenticati, nell’ignoranza propagandistica del dopo 89.
Il risultato è che quando Putin ha fatto una guerra, parecchi anni fa, per prendersi pezzi dell’impero sovietico, non l’abbiamo capito. Poi la Russia ha sferrato un colpo che non era stato osato nemmeno all’epoca sovietica, con il tentativo di prendersi il mare d’Azov e il mar Nero, con il progetto più a lungo termine di mettere un piede nel Mediterraneo occidentale, in Algeria, e un altro in Adriatico, magari a Dubrovnik, dopo aver costruito basi in Libia.
Nessuno dice nulla e molti fanno finta di non capire.
Il risultato è che la prima vittima vicina di questo espansionismo sette-ottocentesco è stata l’Ucraina.
Zelensky, il presidente ucraino ci ha sorpreso. Lui fa parte di quel mondo vuoto del ‘facciamo quel che si deve’ eppure davanti alla guerra in casa sua, si è trasformato in leader vero. Invece di scappare davanti ai colpi dei carri armati e delle forze speciali russe, è rimasto a Kyev e ha spronato gli ucraini a cacciare le armate russe.
Una guerra per la libertà orgogliosa, forte, e finalmente consapevole. Gli ucraini sanno oggi che la mancanza di libertà significa morire schiavi, vittime di stupri, rapimenti, deportazioni, eliminazioni etniche. Che la Russia abbia come obiettivo la schiavitù altrui è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo appena ricordato i morti della Shoah. Quei morti furono persone punite per solo essere nate. Gli ucraini vengono punti dai russi perché non sono russi. La stessa punizione toccherebbe a qualunque di noi.
Eppure, l’unica battaglia che dovremmo combattere per la libertà, fatta di medicinali, coperte, generatori e anche armi per difendere la libertà ucraina, ci vede incerti. Addirittura le stesse fonti che hanno propalato notizie false e ridicole sulla ‘invincibile potenza russa’ che però manca di microchip e persino di cuscinetti a sfera, hanno sparato a raffica falsità infinite perché Zelensky potrebbe parlare dagli schermi televisivi durante Sanremo.
Il presidente che resiste, Volodimir Zelensky, dal maxischermo del Festival di Sanremo è invece un potente segnale che dobbiamo abbandonare l’ignoranza post 1989 e tornare da dare peso e valore alla libertà, alla democrazia, alle buone idee e perfino all’ideologia.
Guarderò Sanremo anche per le canzoni, ma soprattutto perché l’ex comico ed esperto di comunicazione, trasformato dagli eventi in leader carismatico, possa essere il segno del nostro risveglio come donne e uomini, come persone che vogliono ricominciare a costruire il futuro e a difendere i valori ai quali siamo abituati. E nessuno si illuda: se l’Ucraina vincerà, i prudenti alla Alemanno, pacifista d’occasione, potranno ancora schernire chi pensa al futuro. Se l’Ucraina perderà, la guerra arriverà in Adriatico e poi in Sicilia. In prima linea ci arriveremo noi. E forse allora capiremo che la parola libertà non è retorica. La libertà è quel valore per il quale gli ucraini sono stati costretti a combattere e che a noi è stata regalata, nonostante fummo esportatori di dittatura, prima della Seconda Guerra Mondiale.
Claudio Melchiorre.
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