Christo: l’uomo che impacchettava il mondo per rendere più libero il paesaggio


Pubblicato il 04 Giugno 2020

di Gian Maria Tesei.

Avrebbe compiuto tra pochi giorni, ossia il 13 giugno, l’età di ottantacinque anni, ma purtroppo ci ha abbandonato, lasciandoci almeno la sua eredità artistica.

Christo Vladimirov Javacheff, al grande pubblico noto solo come Christo, è stato indiscutibilmente uno dei più intensi, potenti e riconosciuti protagonisti della “land art”, quel tipo d’arte contemporanea realizzata tramite un‘azione esercitata dall’artista sulla realtà fisica naturale e paesaggistica od anche urbanizzata per caratterizzarla delle proprie intenzioni creative, con l’uso di elementi artificiali(come lunghi teli sintetici  o barili) da combinare con essa in un gioco di ortogonalità  ed orizzontalità inverse ed alternative, proprio tra l’elemento naturale e quello artificiale, con operazioni su larga scala.

Molto noto alla platea mondiale, aveva ideato e portato avanti un percorso d’arte, assieme alla moglie, impostato su una tipologia artistica generatasi  tra il 1967 ed 1968 negli Stati Uniti con la volontà di attraversare e destrutturare i limiti dell’arte scultorea e pittorica, per concepire la materialità concreta ed effettiva di ogni giorno come oggetto, tridimensionalità d’arte, momento e spazio di creazione per rinegoziare il legame tra arte, pensiero, essere umano e vita, con elementi rivolutivi a carattere anche sociale.

Il tutto si era sprigionato in un contesto che da due decadi aveva assistito alla ripresa della comunità internazionale dopo la seconda guerra mondiale, con un crescente consumismo, tensioni post-belliche ed un importante sviluppo tecnologico.  Questi elementi caratterizzanti della società degli anni sessanta avevano fatto germinare una risposta, da parte dell’aristocrazia culturale del tempo, d’avvicinamento verso le differenti culture di massa, originando l’arte concettuale, la Pop Art, l’arte Povera, solo per fare qualche esempio, e proprio la land art.

E la finalità ultima delle creazioni della land art, mediante l’accostamento all’oggetto- paesaggio reale, per verificare e dimostrare come l’azione dello scorrere del tempo e la natura trasformino gli oggetti, gli aspetti ed i gesti, con risvolti e componenti psicologiche varie che spaziano dalla nostalgia, all’aggressività ed al senso di difesa, riparo e scudo verso quella realtà considerata, che si esprimono proprio attraverso l’opera d’arte stessa.

Tra i grandi esponenti di questa forma artistica, che annovera tra i suoi creativi principali Michael Heizer, Robert Smithson, James Turrell, Walter De Maria, Dennis Oppenheim, Beverly Pepper, Richard Long e Robert Morris, oltre anche all’italico Alberto Burri (famosissimo il suo “Grande Cretto”, opera che realizzò, su 12 ettari delle rovine determinatesi per il terremoto del 1968 a Gibellina),  si è distinto proprio Christo, che ha dato vita ad un percorso d’arte , denominato “Christo e Jeanne-Claude”, condiviso con la moglie , curiosamente nata lo stesso giorno ed anno, ossia il 13 giugno del 1935, ma Christo a Gabrovo (Bulgaria) e Jeanne-Claude Denat de Guillebon a Casablanca, in Marocco.

L’artista bulgaro, formatosi all’ ‘Accademia di Belle Arti di Sofia, si trasferì a Praga nel 1956, sfuggendo poi al regime comunista per riparare a Vienna, Ginevra e, due anni dopo, Parigi, dove venne reputato apolide ed emarginato e dove aderì alla corrente artistica del Nouveau Réalisme, ,assieme e spinto anche dalla curiosità suscitata dai suoi  amici per le sue opere( che vendeva per mantenersi) fatte di impacchettamenti di bottiglie, tavoli, cartoni etc. …,dipinti astratti.

Ed invece fu un ritratto a fare scoccare la scintilla che unì( nonostante la morte di lei sopravvenuta nel 2009 per un aneurisma cerebrale) nella vita e nell’arte Christo e Jeanne Claude. Quest’ultima infatti commissionò nel 1958, a quello che sarebbe poi diventato il suo compagno di vita, un ritratto della madre ed entrambi, pur non intrecciando subito una relazione a tutto tondo, si appassionarono l’uno dell’altra. Ma la vera svolta avvenne quando Jeanne Claude, dopo la luna di miele, lasciò il marito Philippe Planchon, essendosi resa conto d’essere in attesa di un figlio (che avrebbero chiamato Cyril) dall’artista bulgaro, che nel frattempo frequentava la di lei sorella, Joyce, e decidendo di stare infine con Christo.

L’approdo negli USA, qualche anno dopo, consentì loro di trovare un ambiente maggiormente stimolante e coerente con le opere che la coppia voleva realizzare, anche se gìà nel 1961 a Colonia, ma soprattutto nel 1962 avevano fatto esplodere la loro inclinazione artistica comune, con il “Rideau de Fer”, per esprimere la loro contrapposizione al muro di Berlino, ostruendo una via francese con un muro di barili d’olio.

E così principiarono un cammino che li vide imballare e creare arte, secondo le loro visioni in tutto il mondo, operando spesso anche in Italia, come quando imballarono il Fortilizio dei Mulini e la Fontana di piazza del Mercato al festival dei due mondi di Spoleto del 1968. O quando fecero lo stesso, due anni dopo, in piazza Duomo a Milano, con il monumento a Vittorio Emanuele II o a Roma nel 1974 con la Porta Pinciana. Ma sicuramente l’opera che rimane maggiormente nel ricordo italiano è “The Floating Piers”, quando nel 2016, fatta dal solo Christo, sette anni dopo la morte della coniuge, adoperò un complesso di pontili galleggianti attraversabile dal pubblico, sul lago d’Iseo che attirò la curiosità di milioni di visitatori da tutto il mondo.

E se l’opera più recente di Christo, datata 2018, è stata “The London Mastaba”, con un insieme di barili come elemento caratterizzante a formare un enorme trapezio, le opere più importanti del progetto sinergico hanno toccato anche altre capitali europee come con “Ponte Neuf” (1985) a Parigi ed il “Reichstag”(1995) a Berlino. Ed oltreoceano peraltro di notevole rilievo fu “the Gates” (2004-2005), a New York, il lunghissimo cammino  (ben 30 km)che percorreva ed oltrepassava il Central Park, realizzando le opere sempre all’insegna del precetto per cui:”Il motore delle nostre opere sono soltanto la gioia e la bellezza”.

 


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