Ciao Matteo, una risata seppellirà la loro squallida “serietà” di borghesi. Viva l’Anarchia!

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di iena delle destre marco benanti

Quando me l’hanno detto ho pensato subito ad uno dei tuoi scherzi. Invece, caro Matteo Bonaccorsi hai fatto -stavolta- sul serio. O quasi.

Io sono sicuro che presto tornerai. E riprenderai a prendermi in giro. Come sempre. Com’è giusto! In nome di quella battuta che facevi spesso quando m’incontravi ed io ero in giro alla ricerca di qualcosa che potesse assomigliare ad una notizia: “c’è stata l’invasione delle nutrie, non lo sai?”

Per anni, abbiamo fatto le persone serie: abbiamo riso. Di loro. Della loro “giustizia”, del loro “sguardo severo” di “compagni severi”. Insomma, abbiamo riso tanto di questa “gente seria” che popola quello squallore di Palazzo di cosiddetta “giustizia” in quel di Catania.

“Gente seria” magari sinceramente “di sinistra” o almeno convinta di esserlo: in realtà, ordinari piccoli borghesi di provincia. Con i loro marescialli, le loro querele, le loro denunce da commedia all’italiana. Mai che prendessero sul serio -ma davvero, non solo per farsi belli- le storie di poveracci, senza soldi e senza titolo di studio, insomma quelli che non sanno parlare l’italiano, che non hanno “scuole”. Quelli di cui -nell’Ottocento- si occupava la Sinistra, prima di diventare ricettacolo di ogni borghesia, di ogni squallida borghesia.

Questa era ed è roba per noi. Anche per un “fascista” come me, che ti parlava di libertà di espressione, di incontinenza nelle parole (ho detto bene, Matteo?), di come insultare il “mondo perbene”, o meglio come ricordare che sempre un mondo di merda è.

Io all’inizio, come al solito, non capivo: poi ho capito. Ed è stato bellissimo, come nelle storie dove il “fratello grande” prende per il culo quello “piccolo” e magari un po’ tonto. Come me. Insomma. Tu no, Matteo. Conoscevi l’arte della risata, del trattare le cose serie nel modo giusto: con l’ironia e l’autoironia. Che è forse la sola arma contro lo squallore di questa società di “persone serie” e magari “perbene”. Ricordi di quando tu mi parlavi delle tue “vittorie” in Cassazione e io esultavo. In nome della giustizia. Cioè del trionfo del diritto contro i piemme. Ricordi?

A proposito: quando torni, fatti sentire che ti devo parlare di quella storia di anarchia e mal di testa di cui ti avevo parlato tempo fa. Non scordarti di me, Matteo. Di quello tonto e magari in cerca di cose “da ridere”.

Ciao marco.

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