e delle Drag Queen di Villa Bellini”
Dal noto sito di Roberto D’Agostino (Dagospia) riportiamo….
” “Più buio di mezzanotte”, opera prima di Sebastiano Riso, è in concorso alla Semaine de la Critique, e racconta l’adolescenza sofferta di una vera drag queen catanese poi trapiantata a Roma – I limiti della scrittura registica sono evidenti, ma anche le sue qualità. E la storia è magnifica comunque la si racconti…
Marco Giusti per Dagospia
“Signora, lo sa che suo marito è puppo?”. “Lo sticchio è mio e ne faccio quello che voglio!”. Fermi tutti, arriva il primo film italiano a Cannes. Tutto ambientato nella Catania dei puppi e delle drag queen di Villa Bellini. E’ da tempo che i panni sporchi in Italia non si lavano più in casa. E grazie proprio alle storie più sofferte e segrete si può fare un film degno di competere a Cannes. E’ il caso di questo curioso, sentito, anche se un po’ goffo e confuso “Più buio di mezzanotte”, opera prima di Sebastiano Riso, con lunga attività di aiuto regista alle sue spalle, che verrà mostrato in concorso stasera alla Semaine de la Critique.
In pratica l’adolescenza sofferta di una vera drag queen catanese poi trapiantata a Roma, Fuxia, anche se la storia è stata spostata dalla Catania degli anni ’80 a quella di oggi. Ma l’idea del regista e dei suoi sceneggiatori è in realtà quella di seguire i tormenti del giovane Davide, interpretato da un incredibile, angelico, sempre quasi muto Davide Capone, alla ricerca di una sua identità e di una sessualità, diviso tra una famiglia non facile, un padre violento e omofobo, Vincenzo Amato, e una mamma amorosa che sta diventando cieca, Michela Ramazzotti, bravissima, e una Catania misteriosa e sessualmente scatenata composta da travestiti che fanno la vita, papponi, clienti odiosi.
Il tutto al ritmo di “Amore stella” di Donatella Rettore, come negli anni ’80, anche se Riso sogna di fare di Davide, ragazzino che sogna i lustrini di Amanda, il suo personale Antoine Doinel truff di prima di Sebaautiano e cita, nelle note di regie, il vecchio credo godardiano un po’ ingenuamente: “Ogni carrello è una questione di morale”. Certo, ma non stai girando un film di Bertolucci o di Glauber Rocha, non sei negli anni ’60.
Però Riso cerca in certe lunghe scene in piano sequenza, come quella della camminata tra i travestiti dove tutti i personaggi si presentano a Davide, una sua personalità registica, magari citando un po’ il grande carrello di “Mamma Roma” di Pasolini, ma più che al carrello di Godard, Riso sembra attaccato, come il vero Fucsia, alla musica di Rettore e Amanda del tempo. Godard, insomma, c’entra poco.
Anche se il film offre grandi opportunità attoriali ai suoi protagonisti, da Pippo Del Bono come pappone vestito di bianco, che si lancia in un tentativo maldestro di emulare la Jeanne Moreau cantante di “Querelle”, alla Ramazzotti vera Madonna del sud, e lancia come stelline molti giovani, come la “Rettore” di Giovanni Gulizia, o la “Meriliv Morlov” di Sebastian Gimelli Morosini oltre allo stesso protagonista, alla fine funziona più per la sua drammaturgia più sentimentale, alla “Breakfast on Pluto” per intenderci o alla “C.R.A.Z.Y”, o per le sue complicazioni drag anni ’80, che non per la sua ricerca nouvellevaguista.
Ma in questo triplo salto mortale, molto di vero e di sentito c’è e la storia è magnifica, comunque si cerchi di raccontarla. I limiti della scrittura registica sono evidenti, ma anche le sue non poche qualità. In sala anche in Italia dal 15 maggio.”
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