di Carlo Majorana Gravina

Tutti, nessuno escluso, hanno esordito ed esordiscono al governo e al Ministero della Giustizia promettendo “la riforma”, salvo poi dimenticarla presi da urgenze, fatti e situazioni, sparse su tutto il territorio nazionale, e sul parterre dell’esecutivo.

Unico ministro esplicitamente citato nella Costituzione, quello di Giustizia, forma il proprio gabinetto attingendo ai ruoli della P. A. Criterio virtuoso, dettato da economie di scala e di spesa che, oggi più che mai, rappresentano il primo ostacolo alla riforma.

I vari tentativi, negli anni, sono stati bloccati sul nascere per la fronda “interna” di magistrati e pubblici funzionari distaccati al ministero. Non abbiamo elementi, ma il dato emerge con evidenza considerando gli argomenti portati a sostegno delle proteste per le quali governo e Parlamento hanno sempre evitato di procedere “a muso duro” su una strada che, presumo, si riteneva utile e giusta.

Per essere concreti e realisti, andrebbe riscritto tutto il Titolo IV della Parte II della nostra Costituzione. I padri costituenti avevano sotto gli occhi una magistratura e una società molto più volte al bene comune di un Paese devastato dal conflitto bellico e ansioso di “ricostruirsi” ed “essere ricostruito”. Oggi, almeno da trent’anni, entrambe sono ben diverse, per non dire altro.

Probabilmente la quota di P. A. più “creativa”, favorevole e funzionale alla riforma si può trovare nelle università, ma anche gli avvocati a mio giudizio andrebbero coinvolti nell’operazione.

Si abbandonerebbe, soprattutto coinvolgendo questi ultimi, il criterio di spesa “virtuoso”, ma sarebbe un prezzo equo da pagare qualora si ottenesse una Giustizia rapida, efficiente e aderente alle novità socio-economiche e tecnologiche.

 

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