di iena marco benanti
Coronavirus permettendo, si voterà il 26 e 27 marzo prossimo per il comitato delle pari opportunità al consiglio dell’ordine degli avvocati di Catania. In attesa di un possibile rinvio (ancora oggi non formalizzato), abbiamo ascoltato le ragioni di una candidatura sui generis, quella dell’avvocato, pardon dell’avvocata Maria Concetta Tringali.
Come nasce questa candidatura?
Su sollecitazione di colleghe e anche di qualche collega, sapevano che ci si sarebbero state entro qualche mese queste elezioni, mi hanno invitato a considerare l’idea. Io inizialmente avevo detto di no. Poi quando mi hanno richiamato, mi hanno informato delle date; poi è arrivata la Pec del consiglio dell’Ordine, ho visto il regolamento e mi ha allettato l’idea…
Perchè questa candidatura?
L’idea che fossero candidature singole e che quindi non ci fosse necessità di appartenere per forza a qualche cordata, come nelle elezioni al consiglio dell’Ordine. Una cosa che è nel regolamento, ma poi nei fatti adesso stiamo vedendo che non funziona più, perchè, probabilmente -non so se sono la sola- e comunque per lo più sono tutti colleghi che si stanno presentando insieme e sotto l’indicazione di una lista.
Ma perchè non stare in una lista, perchè è così rilevante per lei?
Intanto, perchè ho difficoltà in linea generale ad inquadrare un progetto dove io mi possa sentire a casa del tutto. In questo caso specifico, c’è un altro motivo:io non voglio colorare politicamente l’associazione della quale io sono vicepresidente, l’idea di dare un colore politico ad un’associazione che raccoglie tante persone, tanti professionisti, di tante estrazioni politiche diverse, non la volevo, proprio una cosa che volevo evitare.
Ma lei non appartiene ad un’area culturale?
Dentro l’associazione siamo in tanti, io appartengo ad un’area culturale. Mi era arrivata anche la proposta di essere appoggiata da una lista a me vicina, però io ho detto di no perchè io non volevo colorare politicamente l’associazione.
Che funzione ha il comitato? E’ solo aria fritta?
“La funzione potrebbe essere importante, l’idea che io mi faccio è che questo comitato raccoglie le sollecitazioni dei colleghi, delle colleghe, dei colleghi con disabilità, dei praticanti, dei più giovani, perchè le parti opportunità sono assicurare la parità di accadere alla professione ma anche di rimanervi. Perchè noi di difficoltà ne incontriamo diverse ogni giorno.”
Esempi?
Le barriere architettoniche, non a caso gli uffici sono sprovvisti talora del necessario, oppure penso all’inizio nella professione, e quindi gli strumenti di cui uno si deve dotare se decide di mettersi in proprio, soprattutto gli strumenti telematici, informatici;
ci sono bandi della cassa forense a cui mi è capitato di partecipare, ma prevedono delle risorse irrisorie, il giovane professionista, che ha smesso di fare il praticante, avrebbe bisogno di un supporto. Quindi, non c’è solo la questione di genere”.
Altri esempi?
“Ci sarebbe bisogno di un’aula per l’allattamento, delle convenzioni e delle aule ad hoc, spazi per le mamme e per i papà dove lasciare i bambini nel momento in cui non possono accompagnarli a scuola. Io ho immaginato l’idea di questo comitato anche per reperire risorse, per aiutare il professionista che vuole mettere a norma nella struttura che ospita lo studio privato, coinvolgendo anche le istituzioni forensi.”
Ancora?
“Una gestione più ordinata dell’attività di udienza, di cancelleria”
Nel regolamento del comitato si parla di prevenire, contrastare “comportamenti discriminatori”, che vuol dire?
Un ruolo molto importante del comitato.
Facciamo qualche esempio…
Cercare di evitare che un giovane, un disabile, una donna possa essere discriminato perché è un giovane, un disabile, una donna. Qualche mese fa, c’è stata una battuta infelice di un Got che ha detto -quando una collega ha chiesto in merito all’orario di trattazione di un processo- ‘lei deve decidere se fare la mamma o fare l’avvocata’.
Certamente l’avrà fatto in un moto di stizza, perchè era oberato di lavoro; molti colleghi si sono mobilitati a difesa di questo giudice, io lo non metto in dubbio però c’è una cultura nostra che tende a sintetizzare troppo e certe volte ad appioppare dei bollini, insomma sono degli stereotipi. Quindi, occorre fare formazione coinvolgendo i magistrati, gli avvocati anche su questo punto, bisogna anche svecchiare il linguaggio ”.
Ad esempio, un rinvio per una donna in maternità?
“Anche. Ad esempio, nel civile, non ci sono gli stessi meccanismi di rinvio come nel penale. La donna non ha nessuna tutela in questo senso, quindi o ti fai sostituire da un collega oppure ricorri ad un sostituto. Secondo me, questo potrebbe rientrare in un intervento del comitato, cioè riuscire a creare un dialogo con gli uffici giudiziari, magari con dei protocolli, degli accordi di collaborazione, quindi, dare una regolamentazione rispettosa dei lavori di udienza perchè non possiamo stare dalle 9 alle 13,30 senza sapere a che ora e se viene trattata la causa.
Ora c’è volontà di dare un ordine alla trattazione delle udienze a causa dell’emergenza Coronavirus, se rimanesse un minimo di questo criterio anche dopo questo periodo, l’ emergenza ci avrebbe lasciato qualcosa di positivo.”
Questo problema di arretratezza culturale riguarda anche i magistrati?
“Anche i magistrati probabilmente, ma secondo me riguarda tuta la società, dovremmo essere un poco più attenti a rispettare l’altro, senza appioppare bollini, stare ad ascoltare le esigenze di tutti, perchè i giovani hanno un certo tipo di esigenze e chi ha fatto la professione da giovane lo sa. La situazione del praticantato è diversificata: ce ne sono molti che lavorano, imparano, fanno formazione. Io ho un ricordo meraviglioso del mio dominus, ma ce ne sono altri che lavorano come segretari presso gli studi legali. Anche quella è una situazione alla quale il comitato dovrebbe dare una attenzione.”
Insomma, questo comitato ha dei poteri reali o è un organismo consultivo?
“E’ un organismo che comunque è all’interno del consiglio dell’Ordine quindi, secondo me, se è sfruttato appieno con le sue potenziali potrebbe fare da pungolo, parlare con le istituzioni, studiare progetti di riforma. Io probabilmente sono una ottimista, poi tutto è migliorabile, ma se non cominciamo?”
Ma non c’è il rischio che il comitato diventi una sorta di “medaglietta”, di rappresentanza per arrivare ad altro?
“Quel rischio c’è sempre, secondo me dipende da come si fanno le cose, da come s’interpretano. Se lo fai solo per apparire, potrebbe anche essere visto come un trampolino di lancio per farsi subito dopo l’elezione al consiglio dell’Ordine, poi alla Cassa forense e scalare i vertici della politica forense; poi, se fatti bene, anche l’associazionismo, il volontariato che soldi non te ne dà, possono darti però delle soddisfazioni, possono darti il senso che incidi con quello che fai.”
Ci può fare un esempio di discriminazione su base culturale. Esistono delle barriere mentali nella nostra società?
Si. Io faccio molto diritto di famiglia e mi trovo spesso, quando soprattutto, ad esempio,. rappresento donne che hanno subito violenze o anche solo in situazioni in cui emergono dei profili per cui c’è una delle due parti che è più forte economicamente, ecco allora anche davanti al giudice devi essere in grado di dimostrare che non si vuole speculare o strumentalizzare una presunta debolezza della donna in questo caso, nel procedimento ad esempio di separazione, perché tante volte si è fatto, per carità.
Però, io noto che c’è un atteggiamento di sospetto rispetto a certe rappresentazioni; la debolezza economica della donna di fatto noi la scontiamo, perché c’è una struttura della società che ha visto le donne in condizioni economicamente subordinate da sempre, quindi quella debolezza quando arriva in tribunale magari se c’è una richiesta di contributo al mantenimento, devi essere in grado di capire se dall’altra o il giudice o la tua contrapposte quasi per alzare la posta. Ci sono situazioni che nascono dall’asimmetria socio-economica”.
Ma non c’è una separatezza di classe, nei casi di violenza fra la cosiddetta “Città bene” e i quartieri popolari?
No. O meglio emergono molto di più nei quartieri popolari, quando noi ci troviamo a dovere trattare delle situazioni di violenza in classi sociali più elevate abbiamo più difficoltà.
Il modello è lo stesso? Lo stesso di un quartiere popolare?
Si, anzi abbiamo maggiori difficoltà, c’è più violenza psicologica, c’è più senso di impunità in un marito che fa il professionista.
Ma non potrebbe accadere il contrario, con un uomo che ha una dipendenza affettiva?
Certo. Assolutamente, quello può succedere a tutti, ma i numeri dimostrano che c’è, neanche un’emergenza, una situazione che si è struttura in modo diverso.
Ma la funzione del cosiddetto mastro non richiama una visione arcaica, uno schema autoritario?
Probabilmente sì, ma quello è il disegno, c’è uno studio professionale, quello che sa fare il lavoro e quello che te l’insegna. Io ho avuto un’esperienza positiva, avevo un rimborso spese, ma molti oggi lavorano praticamente a gratis. In questo caso il comitato potrebbe avere un ruolo, ascoltare, a mò di sportello, le esigenze dei praticanti”.
Se si dovesse votare, perchè votare per l’avvocata Tringali?
L’idea di candidarmi è venuta perchè è in continuità con il lavoro che faccio, perchè io ho delle convinzioni che porto avanti quotidianamente; è capitata l’occasione di portarle ad un tavolo più istituzionale e allora mi piacerebbe portarle in quella sede. Io sceglierei sulla base del fatto che c’è chi ha lavorato su queste tematiche da tempo e quindi non sulla base di appartenenza di lista.
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