Premiato in America come “miglior virologo dell’anno” nel 2018, il prof. Giulio Tarro è forse uno dei virologi più importanti al mondo, candidato al Nobel per la Medicina nel 2015, già allievo del padre del vaccino contro la poliomelite Albert Sabin, fu lui a isolare il vibrione del colera quando scoppiò l’epidemia a Napoli.
Quarant’anni fa inoltre, “sconfisse” il cosiddetto “male oscuro di Napoli“, il virus respiratorio “sincinziale” che provocava un’elevata mortalità nei bimbi da zero a due anni affetti da bronchiolite.
Qui sue ampie delucidazioni sull’immunità di gregge, tirata in ballo dalle dichiarazioni del premier inglese Boris Johnson (portare ad infettare il 60% della popolazione in modo di far sviluppare anticorpi e quindi renderli immuni dal virus) e altro sul Covid-19 in genere.
“L’immunità di gregge – spiega il prof. Tarro – è quella che normalmente si cerca di ottenere con una vaccinazione verso un determinato agente che può essere un virus o un batterio. Attraverso questa si riesce ad ottenere il 95% della risposta immunologica delle varie persone, per questo si parla di “gregge”. Il che vuol dire arrivare ad un numero che ci rende abbastanza tranquilli sul fatto che quell’agente non circolerà più, perché troverà gente vaccinata e quindi verrà bloccato. L’altro 5% che rimane, è legato a situazioni in cui non vengono consigliate le vaccinazioni perché sono persone in stato di immunodepresse, che non avrebbero una risposta valida, oppure potrebbero avere motivi ideologici o di altra natura per cui non vogliono essere vaccinate”.
Perché un capo di governo comeBoris Johnson ha guardato a questa opzione?
“Nel caso del Covid-19 non stiamo parlando di vaccinazione. Penso che il primo ministro inglese non abbia preso tale posizione senza consultare l’Università di Cambridge o di Londra, o gente molto valida sul campo che ritiene, date le caratteristiche del Coronavirus, che proteggendo le persone che potrebbero risentirne di più come anziani o persone affette da altre malattie, di far circolare liberamente il virus, non ricorrendo alle misure che stiamo attuando noi, come rigore e isolamento, per cercare di debellare quella che tutto sommato è una malattia che al 96% si risolve senza mortalità. In base a questa proiezione avremmo l’immunità di tutta la popolazione”.
Se l’Inghilterra dovesse orientarsi in tal senso, gli altri paesi che hanno disposto l’isolamento rischiano di vedere accesi nuovi focolai?
“Presumo di no. Se il virus circola produrrà un’infezione e l’infezione porterà anche la risposta degli anticorpi dell’organismo, quindi i soggetti saranno immuni. Il 95% degli Inglesi sarà quindi protetta dal Coronavirus”.
Cosa dice delle fasce di età più vulnerabili?
“La storia delle fasce di età non considera le condizioni fisiche dei malati. Abbiamo visto che i ‘cofattori’ facilitano il virus, ma non è stato detto, ad esempio, chi fuma e chi no? Chi vive in ambiente inquinato e così via? L’età è un fattore relativo”.
La scelta inglese in controtendenza non è quindi azzardata?
“C’è una logica in questo, Non bisogna fossilizzarsi su certe situazioni o perché sono di routine, sembrano più semplici, oppure perché fino ad allora si è fatto in quel modo. È bene fare sapziare la mente. Colombo ha scoperto l’America perché ha deciso che magari c’erano le Indie da quel lato”.
Come vede la situazione al collasso e l’alta mortalità registrate negli ospedali? La Lombardia è in ginocchio, e si teme che il Meridione non sia in grado di fronteggiare un’epidemia simile.
“Diciamo pure che non lottiamo contro l’Ebola, per fare un esempio, o contro l’HIV prima che ci fosse la terapia. Lottiamo contro una malattia che quasi nel 96% dei casi non è mortale. Il problema è il rimanente 4% che si è scatenato contemporaneamente mettendo in difficoltà anche gli ospedali della Lombardia che sono il nostro fiore all’occhiello. Ma già questi, nell’inverno 2018, a causa di un’epidemia influenzale erano sovraccarichi. Questo è frutto dei tagli alla sanità compiuti negli anni. Di questo dovrebbe rendere conto anche secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, chi dal ’97 al 2015 ha dimezzato i centri di terapia intensiva. Vedo che oggi non c’è tempestività per riparare a quegli errori. È una cosa molto seria. Mi chiedo, perché a gennaio, quando abbiamo avuto le notizie dalla Cina, i francesi hanno subito raddoppiato la possibilità di avere i centri di terapia intensiva, e noi no? Tutto questo porta poi, cosa che non posso accettare, che si arrivi a scegliere tra un ragazzo di venti anni e uno di settanta. Noi, abbiamo insegnato la cultura a tutti e ora per i motivi detti sopra, arriviamo a ragionare così”.
Dall’alto della sua esperienza, come si sta comportando il Covid-19?
“Sia il virus cinese, italiano, che quello che si è modificato, ha fatto ormai il suo passaggio dall’animale all’uomo, quindi c’è la diffusione ‘interumana’ alla quale assistiamo in qualsiasi altro virus di altra famiglia, come quello influenzale, dall’aviaria alla suina, che ha circolato in questo secolo, o nel secolo scorso come la Spagnola o L’Asiatica. Sono fatti stagionali; poi la gente produce anticorpi che servono a chi si ammala. Lo si è notato per la prima volta con l’Asiatica: Chi aveva avuto l’influenza nel 1890, nel 1956 non si ammalava. E parliamo di ‘nonni’ quindi”.
Si dice che i virus non spariscono: rimangono silenti per poi ripresentarsi
“Questo riguarda solo determinate famiglie come gli ‘Herpes virus‘ dove il virus si latinizza e rimane silente, salvo poi ricomparire magari sotto forma di ‘Fuoco di Sant’Antonio‘. Per gli altri virus, una volta sviluppati gli anticorpi, non soltanto non l’abbiamo più, e in caso di ‘riavvicinamento’ o ‘richiamo’, che è ancora più potente, non avrà più la capacità di infettare. Il problema è per chi non ha gli anticorpi, quindi per chi non si ammala, oppure ha uno stato di deficit immunitario, ma questa è un’altra cosa. Però, gli stessi anticorpi dei soggetti guariti, possono essere utilizzati a loro volta come si fa con le glammaglobuline per il tetano, per creare anticorpi”.
La dichiarazione di Pandemia cosa comporta?
“Già da tempo il virus era da considerarsi una pandemia, perché era in tutti i continenti, dove sono fiorite polmoniti atipiche. Detto questo, la situazione d’emergenza autorizzerebbe la messa in commercio di un vaccino senza i cosiddetti “clinical trials”, ossia senza sperimentazione”.
Come mai i bambini si ammalano in forma più lieve?
“I bambini fino a sei mesi sono protetti dagli anticorpi materni. Successivamente hanno come dire l’esperienza di incontrare un microbo per volta, verso il quale hanno una risposta immunologica. È la natura che con tutta l’evoluzione che c’è stata che ci produrre gli anticorpi del sistema immunitario. Loro hanno anche “l’immunità innata”, indipendente dalla formazione degli anticorpi, per questo in un certo senso, non hanno i problemi degli adulti, e sono in grado, tutto sommato, di crescere e soprattutto sopravvivere”.
Come spiega la grande confusione che si è creata?
“Posso permettermi di dire che ho esperienza nel campo della virologia e non tutti quelli che aprono bocca davanti ad un microfono hanno competenze per farlo, e quindi per dare informazioni utili a tutti?”
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