Foto del tavolo: da sin. Trantino, Fera, Ocmin, Cassella, Scavo, Caracciolo, Buceti.
Un’occasione per affrontare l’argomento con gli attori principali coinvolti nell’applicazione della legge 62/2019. Mancano risorse per strutture e formazione adeguate: a Catania polizia sotto organico di 100 unità; solo due centri di accoglienza
C’è la legge ma mancano ancora risorse, strutture e personale in misura adeguata perché venga applicata concretamente. È la condizione in cui si trova la legge 69/2019, per sintesi detta “Codice Rosso”, approvata nell’estate scorsa con l’obiettivo di affrontare e contrastare, in particolare dal punto di vista procedurale e penale, le diverse sfaccettature della violenza, ma che ancora presenta criticità che ne impediscono la piena attuazione.
A Catania, ad esempio, il personale di polizia è sotto organico di circa 100 unità, il Comune ha previsto 1.2 milioni di euro per il reinserimento lavorativo delle donne vittime di violenza ma le strutture di accoglienza sono ancora due.
Ecco perché, per rendere efficace la legge, occorrono risorse adeguate ma, soprattutto, un’inversione di tendenza culturale che appiani le asimmetrie tra uomo e donna che nessuna legge può abbattere.
La materia è stata oggetto di confronto, studio e formazione nel convegno che si è tenuto stamattina, nell’Aula delle Adunanze del Tribunale di Catania, organizzato dalle segreterie provinciali di Cisl e del sindacato di polizia Siulp, dall’Ordine degli avvocati e rivolto a dirigenti sindacali, personale di polizia, medici, avvocati e società civile.
Dopo i saluti di Francesco S. Mannino, presidente del Tribunale di Catania; Maurizio Attanasio, segretario generale Cisl Catania; Maurizio Ferrara, segretario generale Siulp Catania; Rosario Pizzino, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Catania; Salvo Pogliese, sindaco di Catania; Mario Della Cioppa, questore di Catania; gli interventi programmati di Giuseppe Lombardo, assessore alle Politiche sociali del Comune di Catania, e di Rosanna Laplaca, segretaria regionale Cisl Sicilia.
«Abbiamo voluto mettere a confronto gli attori principali coinvolti nell’applicazione della legge – ha detto Attanasio – per entrare nel merito di una norma importante, ma nella quale vanno risolte alcune questioni perché possa compiere appieno lo scopo che si prefigge per la maggiore tutela delle vittime di violenza domestica e di genere».
Ed eccoli gli attori: Marisa Scavo, procuratore aggiunto del Tribunale di Catania, con “Codice Rosso: prassi operative e modifiche normative”; Ferdinando Buceti, dirigente della Divisione di Polizia Anticrimine della Questura di Catania, con “Il ruolo delle forze di Polizia”; Giuseppina Fera, dirigente medico di Pronto soccorso e componente di segreteria Cisl Medici Nazionale, con “Pronto soccorso: dalla teoria alla pratica”; Enrico Trantino, avvocato penalista, con “La riforma vista dall’avvocato”.
Mentre le conclusioni sono state affidate a Francesco Caracciolo, segretario nazionale Siulp, e Liliana Ocmin, responsabile nazionale del Coordinamento Donne Cisl.
Come descritto dalla procuratrice Scavo, la nuova legge si pone l’obiettivo di affrontare e contrastare, in particolare dal punto di vista procedurale e penale, le diverse sfaccettature della violenza, inasprendo le pene per i diversi reati, a partire dallo stalking e soprattutto per quelli che vedono vittime minori e persone in condizioni di inferiorità fisica e/o psichica, prevedendo una “corsia preferenziale” per combatterli, con indagini più veloci.
La criticità più importante è che la legge prevede una invarianza di spesa per le finanze pubbliche che ne potrebbe ridurre efficacia e portata. A sottolinearlo gli operatori di polizia: tanto Buceti, quanto Ferrara, che Caracciolo hanno rimarcato come tali fenomeni di violenza siano in netto aumento e che la legge impone un adeguamento organizzativo e di formazione del personale che al momento non appare oggetto di attenzione.
«Catania ha già un organico sottodimensionato di almeno 100 unità – ha lamentato poi Ferrara – con carenza di mezzi e personale già per il controllo quotidiano del territorio. In più, occorrerebbe la riforma della Squadra mobile, e degli uffici di prevenzione generale e soccorso pubblico e Anticrimine. Con quali risorse?».
Non convince, poi, l’obbligo di ascolto della vittima entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, ritenuto troppo rigido, nel senso che la vittima proprio in quel momento molto delicato ha bisogno di tempi adeguati per sentirsi sicura e protetta per evitare la revoca della denuncia.
I pronto soccorso ospedalieri vanno riorganizzati, ha ricordato la dottoressa Fera, perché mancano le strutture: ad esempio non ci sono le stanze dedicate; c’è carenza di personale, quando occorrerebbe avere un medico accanto a uno psicologo e all’assistente sociale, a volte poi prevale il pregiudizio di genere in chi è chiamato a visitare le donne vittime di violenze.
Per il penalista Trantino «occorre prestare molta attenzione ai tentativi di strumentalizzare la norma, in quanto capita che vengano fatte denunce pretestuose per conquistare maggiore vantaggio nelle cause di separazione e dare maggiore peso alle proprie richieste». La segretaria regionale Cisl, Laplaca, ha evidenziato il ritardo della Sicilia nelle strutture di accoglienza delle donne vittime di violenza: «Ce ne dovrebbero essere 52, ma ne sono state realizzate 25 di cui 22 funzionanti. A Catania, ce ne sono due».
Per Liliana Ocmin, infine, «senza le norme attuative, la legge rischia di rimanere sulla carta e non si rendono concreti tutti gli strumenti per difendere le donne e i figli. L’impegno che la Cisl sta portando avanti è anche di natura culturale con un approccio complessivo comprendente Prevenzione, Protezione, Punizione e Politiche integrate, in linea con gli obiettivi del Piano nazionale sulla violenza maschile contro le donne».
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