di Luigi Pulvirenti (dalla sua bacheca facebook)
Io non credo che la situazione di degrado di Catania sia diversa, nel senso di peggiorata, rispetto agli anni ’90. Molti dimenticano che il picco dei morti ammazzati si raggiunse all’inizio degli anni ’90 con la stagione della Primavera appena iniziata; che la caduta dei Cavalieri del Lavoro provocò un terremoto sociale, culminato con proteste di massa nel cuore della città. Oggi, come allora, vale la regola del tappeto: basta mettere la polvere sotto per far finta che non ci sia.
Negli anni ’90 questa città non diventò più civilizzata e più moderna. O meglio: una parte di essa credette di esserci riuscita avviando la riqualificazione del Centro Storico, iniziativa del tutto privata dapprima avversata dalle istituzioni – i gestori dei pub ricorderanno certamente le multe a raffica elevate nelle serate con musica dal vivo – e solo in un secondo momento cavalcata con i caffè concerto. Ma è dalla qualità della vita notturna che si misura il grado di civiltà di una città, dalle iniziative culturali spot o sistemiche – meglio averle – e dalla capacità di presentarle come successo?
Io credo, posso sbagliarmi, che oggi come allora si confonda il fenomeno con l’epifenomeno.
La Catania che ricordiamo con affetto negli anni ’90 aveva due città in una: una minoritaria che si spacchiava per il concerto dei Rem ed un’altra, largamente maggioritaria, che restava fuori dal cono di luce delle paillettes e che si sentiva esclusa da quella città. Il trionfo dell’edonismo monfiano sul realismo mammoriano, che se ne rimaneva confinato nei quartieri, lasciandoci credere che la Catania Raggiante avesse trionfato quando aveva, invece, solo fatto finta che l’altra non esistesse.
Venti anni dopo siamo ancora qui. Ebbri di lungomare liberato per poi scoprire che si spara per regolamenti di conti tra ragazzini chiusi da adulti nel sangue, e corse di cavalli in pieno giorno in una delle arterie principali del traffico. Che nel giorno in cui centinaia di persone rimangono in fila per accedere al Castello Ursino, in 10000 riempiono una piazza per una giovanissima star del neomelodico. Con la differenza che quella città che venti anni fa si nascondeva oggi ha la “sfrontatezza” di mostrarsi alla luce del sole, con la finta sorpresa di chi si chiede come sia potuto accadere, non rendendosi conto che la colpa non è della realtà, che esiste e si mostra, ma solo sua che ha vissuto girando lo sguardo dall’altro lato.
È bene che ci si convinca quanto prima che la Copenhagen in cui qualcuno pensa di aver trasformato Catania dal suo avvento esiste, purtroppo, solo a livello meteorologico. E che è arrivato il momento di fare i conti con il ventre della città.
A meno di pensare che esistano due Catania: una minoritaria e puppittara, che ci interessa e a cui ci rivolgiamo. Ed una largamente maggioritaria, che dobbiamo continuare a far finta non esista per appagare la nostra voluttà di modernità.
Va benissimo. Ma, almeno, risparmiateci l’indignazione postuma.
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