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Cronache catanesi: l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario nel distretto della Corte d’Appello di Catania
Pubblicato il 01 Febbraio 2016
di Carlo Majorana Gravina
Carolina Tafuri, presidente reggente della Corte d’Appello del distretto di Catania, emozionata ma diretta e concreta, ha aperto l’anno giudiziario svolgendo una relazione ampia ed esaustiva nella quale ha messo a nudo, senza mezzi termini positività e limiti della giurisdizione che, nel territorio di competenza, risentono di gravi carenze strutturali, logistiche e degli organici professionali, tecnici e amministrativi. Alla presenza delle massime autorità civili, religiose e militari, sono stati forniti dati e cifre dell’intensa attività dei tribunali: una lunga puntigliosa disanima che, nel periodo luglio 2014 – giugno 2015, meno turbato da polemiche e proteste tra operatori della Giustizia.
Sia Tafuri che il Procuratore generale Salvatore Scalia, infatti, hanno sottolineato il recente clima di fattiva collaborazione, utile al lavoro di tutti; Scalia, in particolare, ha auspicato una ripresa degli incontri tra avvocatura e magistratura per individuare soluzioni ai problemi emergenti nella pratica quotidiana della giurisdizione. L’intensa attività dei tribunali non riesce comunque a ridurre i corposi ruoli, nonostante nuove regole per snellire le procedure e ridurre i tempi dei processi, nel rispetto delle garanzie, che hanno determinato, soprattutto nel settore penale, una sorta di amnistia strisciante, facendo cadere in prescrizione processi la cui istruzione necessita di indagini complesse e articolate. Si segnala in negativo anche l’aumento esponenziale delle spese di giudizio con il quale si mortifica la Giustizia, facendola diventare un affare tra ricchi: dire sostanzialmente se ti vuoi passare il piacere, paga, non tiene conto di tutte le volte che un cittadino si vede costretto a ricorrervi.
Aumento dei costi e amnistia strisciante sono fattori di aggravamento; l’affermazione del ministro Orlando, resa a Palermo, “non esiste più una questione Giustizia” è temeraria: governo, ministero e Parlamento si mostrano incapaci e inconcludenti; non vedere la questione è un limite allarmante, così come il non aver chiaro, dopo anni di dibattito, quale ipotetica riforma fare. Avere smorzato i toni delle polemiche è positivo, ma bisogna controllare (compito del ministero) se in questo clima alcune vecchie abitudini, per le quali un romanziere americano scrisse “il tribunale, il palazzo dove si amministra la legge e, ogni tanto, si fa giustizia”, siano in ripresa.
Va detto infine, le riforme si fanno con i soldi: modifiche significative ed utili necessitano di corposi investimenti, negli ambiti indicati nella relazione della Tafuri, poiché per la Giustizia non si può operare a bocce ferme; no soldi, no riforme; il semplice vagheggiarle senza attivarsi concretamente è una semplice fuga in avanti;c’è poi da fare i conti con l’Europa che osteggia ambiguamente le necessarie riforme della Giustizia italiana.
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