di Fabrizio Grasso
C’è a Catania una cortina di fumo di legalità che è più densa della nebbia in val padana. Coloro che si sono autoproclamati buoni stanno tutti dalla stessa parte e coloro che sono stati proclamati cattivi (dai buoni autoproclamati of course) stanno dall’altra.
Catania è così macabra e spettrale che somiglia a città immaginate nei fumetti e difatti potrebbe tranquillamente ispirare la Gotham City di Bob Kane e Bill Finger o la Sin City di Frank Miller.
Catania si è così abituata alla “logica del sottosopra” che le parole nel pubblico dibattito hanno perso il loro significato e sono diventate cicaleccio da social network.
Catania insomma, non ha parole che la raccontano per davvero, anzi ha “parole” che sembrano mascherarla, perché fosse raccontata per quello che è davvero … beh, ci sarebbe il rischio che la verità facesse impazzire tutti i cani di paglia che vegetano tra locali, drink, pseudo-giornalismo online e movida da pezzenti chic.
Catania è come una troia dagli occhi mafiosi che quando uccide, pare lo faccia con violenza d’amore e invece, la realtà è che ha premeditato tutto con “mafiosità scientifica”.
Catania è sorda e cieca, perché non vede e non sente un suo figlio bruciato (Salvatore La Fata, onesto ambulante abusivo) nell’ultimo e disperato urlo per sopravvivere alla povertà che uccide più persone di quante un cuore umano possa sopportare.
Catania è capace di mettersi in divisa e far la voce grossa e la faccia feroce coi “ladri di biciclette” e poi voltando il collo è ancora più capace di far la serva agli “amici degli amici” che pretendono e ottengono: favori e privilegi.
Catania è presidiata dai parcheggiatori abusivi che imperversano tra le strade a fianco dei vigili urbani, dalle prostitute oramai dislocate in tutte le vie, dagli amministratori incapaci che nominano mendaci e incompetenti e la fanno franca col ghigno, mentre esprimono il cordoglio per l’ennesima tragedia che non si è voluta impedire.
Tutto questo, perché il prezzo del buonsenso in una città corrotta è bassissimo e non paga.
Catania per magia giornalistica, trasforma i pusher (poveri disperati che non sapendo dove sbattere la testa vengono impiegati dall’unica azienda non in crisi in Italia, la Mafia S.p.a.) in re dello spaccio e ci racconta di questi miserabili che vendono la droga ad altri miserabili.
Catania come una manipolatrice ci racconta sempre l’effetto e mai la causa che lo ha provocato.
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