di Emilio Brentani
«Ma che hanno i catanesi da sbraitare?». A.M ed io ci stavamo dirigendo al Lungomare liberato, per l’ennesima giornata dell’orgoglio bike. Né lui né io siamo ciclisti, abbiamo perfino la pancetta di chi, di tanto in tanto, si permette la lordura, morale e salutare, di un paninazzo pieno di confusione e colesterolo. Vogliamo vedere, sentire d’Agata parlare. Soprattutto A.M., uno di quei commercianti di via Gabriele D’Annunzio, che s’è vista piantata una rotonda – lui la chiama ‘un tondello’ – sotto il naso, ed attendere di capire a che dovrebbe servire.
«Siamo nel luogo in cui fu il Tondo Gioeni. C’è confusione come al solito. E questa è tutta gente che ringrazia Enzo Bianco di esistere». A.M. non lo dice, ma anche lui lo ha votato. Una volta, mangiando porchetta in via Plebiscito, mi disse che temeva che, questa volta, più che una primavera, ci sarebbe stato un gelido autunno. «Non ci sono le condizioni – mi ammise – perché si ripetano quegli anni. Ma noi, a sinistra – A.M. s’è sempre detto di sinistra – abbiamo la fisima che tutto dipende da noi».
Facciamo qualche altro centinaio di metri in appena un quarto d’ora, poi A.M. si volge verso me e dice: «Sai come lo chiamano ora? Il Signore dei Tondelli. C’è tutta Catania piena. Avessimo tanto coraggio quanta fantasia….». Io non afferro subito. Guardo stralunato una compagnia di ciclisti nell’auto davanti. Sono contenti, e hanno ragione. Vivessero in Emilia Romagna, la bici non sarebbe un vezzo da intellettualoidi salutisti, ma la compagna con cui generazioni di emiliani hanno attraversato le strade della Pianura Padana. Qui ormai è come il telefonino, uno status simbol divenuto emblema della città più che il vecchio Liotru, scordato in un centro storico ormai abbandonato.
«Chi sarebbe questo signore dei Tondelli? Lui?».
«Certo, lui – mi dice A.M. – il sindaco. Hai capito, no? Il Signore dei Tondelli, una parafrasi dell’Oscuro Signore di Tolkien. Io non l’ho mai letto, ma ho visto il film. C’è anche la poesia, sai? ‘Un tondello per domarli, Un tondello per trovarli, Un tondello per bloccarli e nella confusione incatenarli’». Ricordo allora le parole: lettura di una ventina, o quasi, di anni fa. E rimugino il Signore degli Anelli, quel poco che ricordo: il maligno Sauron, lo stregone cattivo Saruman, i piccoli Hobbit, Gandalf. Ricordo come la Compagnia partì da Gran Burrone, e come Frodo giunse con Sam e Smeagol davanti al Nero Cancello…
Noi abbiamo tutto il tempo per arrivare davanti al Lungomare liberato. Cerchiamo posto. A.M. mi fa girare non so quanto, perché non vuole che io scelga la soluzione più facile: pagare ed entrare…
«No. Non mi piace io gioco delle parti sotto le false contrapposizioni, dove ad alcuni viene dato tutto e ad altri tutto viene tolto. Sono un commerciante vero, non un appaltatore con gente appaltata alle spalle». Capisco. Taccio. Alla fine, qualcosa si trova. Un posto in cui è assolutamente lecito posteggiare.
Facciamo un po’ di strada. «Figurati – interrompe il suo silenzio meditabondo A.M. – se questo dovessero farlo le famiglie».
Infatti, arrivati, famiglie non ne vediamo molte. E manco fidanzati che camminano col gelato in mano. O col panino. Dannatissimo panino, sarà sua la colpa del degrado di Catania? Sarà tutta colpa del colesterolo? La soluzione Enzo Bianco o Valsoia? Il Lungomare non è più il Lungomare. È diventato un salotto, dove alcuni sentono la necessità di masturbarsi con grandi discorsi sulla civiltà di una città ormai distrutta. Ma ricostruirla è troppo difficile, anche se era stato promesso. Soprattutto in un’Italia che affonda a causa di guerre intestine. Così, meglio masturbarsi celebralmente.
Qualcuno ha i pattini a rotelle. Siamo diventati svedesi e non ce ne siamo manco accorti. Poi, più un là, vediamo passare un tizio con una bici e della musica a tutto volume. Non ci facciamo caso. Facciamo più caso al crocchio di giornalisti. La notizia non sarà lì, però. Passo falso. Ci avviciniamo e, dopo le solito parole, ce ne torniamo indietro.
Quando poi stiamo per lasciare il Lungomare, ci giriamo a guardare la desolazione di pochi sparuti bambini, col sogno in testa che le società siano frutto di esperimenti ideologici. E ci ritornano in mente le parole di quello striscione appeso dirimpetto le ultime ossa del Tondo Gioeni. Sì, ‘bella minchiata’. Ma l’ha fatta soprattutto Catania, qualche anno fa.
A.M. lo sa e tace. Lui, il tondello per incatenarlo, lo troverà sotto il negozio, domani.
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