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Cronache dei Conservatori Siculi: Mattarella e Ciancio, due borghesi “liberali” siciliani. E “i Siciliani Giovani” provarono “dolore”
Pubblicato il 17 Marzo 2015
di iena dalla “parte sbagliata” Marco Benanti
“…La sfida era difficile e ambiziosa: si trattava di rilanciare, dopo il ventennio della dittatura e i terribili anni della guerra, il pensiero liberale in Sicilia. Avendo a cuore, insieme, la specificità regionale e la dimensione nazionale italiana, in un momento in cui cominciava a soffiare il vento del separatismo.
Nelle intenzioni del primo direttore, Alfio Russo, una delle firme più autorevoli del giornalismo italiano, il nuovo quotidiano doveva rappresentare la voce della Sicilia nuova, della borghesia illuminata e moderna, anticomunista nella temperie del dopoguerra, non conservatrice. Un progetto innovatore e inclusivo, sostenuto con piglio e mentalità imprenditoriale, che ottenne l’appoggio e la collaborazione della migliore tradizione liberale italiana – da Croce, a Orlando e Einaudi – e di personalità come Luigi Sturzo, attento fautore delle autonomie nel Paese….” Sergio Mattarella, borghese siciliano, presidente della repubblica italiana, su “La Sicilia” domenica 15 marzo 2015
“…Fu l’intuizione di mio zio Domenico Sanfilippo, un agricoltore liberale, a far nascere «La Sicilia» in un periodo storico delicato: si usciva da una guerra sanguinosa lasciandosi alle spalle il fascismo, e in Italia era palpabile il desiderio di voltar pagina e ripartire.
Noi siciliani eravamo chiamati a fare la nostra parte, che non era di poco conto considerato il divario esistente – già prima che scoppiasse la guerra – tra Nord e Sud: il rischio era quello di restare ai margini nella ricostruzione di una nuova società democratica. Un quotidiano poteva rappresentare, in quel momento, un punto di riferimento per una terra dal passato travagliato e dal presente incerto, dando voce alle aspirazioni di chi voleva vivere ancor più che sopravvivere. Molti cercarono altrove un luogo in cui ricominciare a sperare, altri rimasero a lottare e a lavorare in Sicilia. Io sono cresciuto con coloro che sono rimasti, condividendo l’impegno di non abbandonare questa terra a sé stessa.
Ci infonde coraggio l’elezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica: mettendo definitivamente da parte le passate velleità separatiste di molti siciliani e superando il becero secessionismo di qualche recente movimento nordista, egli sarà invece il garante dell’unità di tutto il paese. A lui affidiamo le speranze della nostra gente e lo ringraziamo per il sentito intervento che ha voluto dedicare ai 70 anni del nostro giornale….”
Mario Ciancio Sanfilippo, borghese siciliano, su “La Sicilia” domenica 15 marzo 2015
Il “buono” e il “cattivo” –secondo una certa angolazione, la “stessa faccia” per chi scrive- si sono scritti sul giornale della loro classe pensieri di convisione. Ricordando –si dovrebbe fare magari attenzione- le loro “radici” culturali, politiche e familiari.
Il borghese Sergio Mattarella, figlio di una nota famiglia siciliana, non è “migliore” o “peggiore” di Mario Ciancio Sanfilippo, anche lui figlio di una nota famiglia siciliana. Entrambi fanno parte della stessa classe, che significa visione della vita, del mondo e soprattutto significa che nei momenti “che contano” ci si ritrova. Assieme.
Magari “solo” su un giornale. E lì si esprime tutto l’orgoglio di una comune appartenenza. E lo si fa vedere -in modo netto, determinato, assoluto- a tutti. Per mandare un preciso “messaggio”? Non è da escludere. Due “borghesi liberali” (nel senso che “liberale” ha in Italia, ovvero conservatore, uno dei “drammi” di questo paesello postfascista), due borghesi della borghesia siciliana. Che è una classe che ha una storia e un orgoglio di classe, che nei momenti topici della storia dell’italietta, sono sempre venuti fuori. In modo talora eclatante.
Registriamo, però, anche la lettura che del fatto danno “I Siciliani Giovani”:
“SIGNOR PRESIDENTE
Signor Presidente,
il quotidiano La Sicilia non è “la voce delle forze impegnate nella legalità”; Lei sbaglia a dirlo. La Sicilia non è stata affatto, e non è tuttora, voce d’impegno civile, ma esattamente l’opposto.
Ha combattuto Scidà, ha esaltato i Cavalieri, ha intimidito pentiti, ha insultato Beppe Montana e Giuseppe Fava. Ha ospitato dei boss, sulle sue pagine e fisicamente. E in questo preciso momento essa è inquisita – in persona del suo proprietario – per eventuale collusione con mafiosi. È inquisita da magistrati che dipendono dal Csm, di cui Lei – signor Presidente – è il massimo garante. Son giudici coraggiosi, devoti all’ordine, e non terranno conto delle Sue parole. Ma se non lo fossero stati? Se esse, senza volerlo, avessero poi contribuito a salvare un reo?
Se sotto indagine fosse stato un santo, Lei avrebbe dovuto esitare a parlare – in bene o in male – di questo santo: per scrupolo, per timor d’influire anche minimamente nel giudicato. E qua non si trattava d’un santo, come Catania sa bene.
Scriviamo queste parole non con polemica, non col tono che avremmo usato per un Napolitano o un Cossiga, ma – signor Presidente – con dolore. Lei non è uno dei tanti politici, Lei è dei nostri. Di noi che per decenni abbiamo combattuto – ma questo è il meno – e che abbiamo dovuto chiamare generazioni di giovani a lottare e a soffrire insieme a noi, chiedendo sacrifici e offrendo pericoli, con l’unica ricompensa di servir fedelmente ciò a cui Lei, salendo alla nostra Repubblica, ha giurato.
Mai più, signor Presidente. Mai più di questi dolori.
Insomma, Mattarella è, in sostanza, “migliore”. Come? Proprio così: “Lei è dei nostri”. E’ antimafia, insomma.
Insomma, un “dolore” quello provocato dallo scritto di Mattarella.
Già, comprendiamo tutto. Certo, il militante di “Lotta Continua” Riccardo Orioles sa bene cosa c’è dietro quella “pagina” de “La Sicilia” di ieri.
Al di là di ogni possibile lettura contingente, il militante di “Lotta Continua” sa cos’è il Potere della Borghesia. Cosa significa veramente. E storicamente.
E sa che non c’è “buono”o “cattivo”. Ma i tempi cambiano, i tempi passano: da tempo è più saggio stare con la “legalità e la democrazia”. Questa “legalità” e questa “democrazia”. Magari pure con i “giudici”. Ovvero con uno dei “volti” dello Stato. Di questo Stato.
Ma veramente qualcuno (soprattutto chi viene dal movimento comunista) ancora crede che con la “moralità” (questa “moralità”?) o altre simili amenità si cambia lo stato di cose? Un conservatore (“antimafioso” o no) in più o in meno non porta altro che sbadigli. Oltre naturalmente agli applausi della “borghesia di sinistra”, che quanto a conservazione può vantare “titoli appropriati”.
Dalla “parte sbagliata” Marco Benanti.
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