Cronache del Regime catanese: la “liberazione del porto”

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di Claudio Melchiorre

Una delle grandi opere promesse in campagna elettorale da tutti i candidati a Catania era ‘liberare’ il porto. Ora, che si debbano liberare degli ostaggi all’estero, i marò incastrati in India, il povero Regeni o i lavoratori che sono stati rapiti, e qualcuno anche ammazzato, è doveroso. Liberare lungomare, strade, porti, aeroporti fa parte di quella retorica annoiata e pigra che non si tollera. Da cosa dovrebbero essere liberati? Chi li costringe? Ci sono rapitori che li tengono in luoghi segreti?

Pare di no. Non sembra che queste opere pubbliche siano asportabili. Al massimo sono poco e male utilizzate. Possiamo dire quindi che questa retorica della liberazione dei manufatti in cemento parte male. Chi fa questo male? Chi gioca con le parole nella giunta municipale di Catania. Oltretutto le usa a sproposito e con immagini retoriche talmente abusate da essere sfatte, noiose, irricevibili.

Se le parole sono vecchie e vuote, i contenuti non esistono.

Il porto sarebbe stato ufficialmente liberato, ma non si da chi o da cosa. Dai container? No.

Dallo scarso traffico commerciale e turistico? Si. E da tempo.

Già dalle prime giunte Bianco il porto di Catania perdeva qualsiasi possibilità di essere un grande porto. Ci si riempiva la bocca con la finalità e la vocazione turistica della città, si parlava di hub marini. Che non furono programmati e non ci sono.

Dobbiamo ricordare quelle giunte Bianco che sul piano economico hanno solo costruito l’attuale disastro, regalando una città un po’ più bella, ma effimera. Come una donna che a sessant’anni decida di farsi tette e zigomi assomigliando alla fine al pechinese che porta nella borsa.

Questa immagine raccapricciante fa il paio con quella del sindaco in punta di piedi che solleva per finta una barriera bianca e rossa all’ingresso del porto, per farsi immortalare dai fotografi dopo aver gridato: “Questa sbarra non si abbasserà più!” Nemmeno fosse Giuseppe de Felice Giuffrida leader delle proteste operaie e socialiste represse nel sangue da Crispi, il repubblicano, che quando andò al potere scelse di essere un quasi dittatore. Massacrando i lavoratori suoi conterranei dei Fasci Siciliani.

Ma torniamo ai giorni nostri. Nemmeno il tempo di finire la cerimonia, che quella sbarra faticosamente tenuta alta per qualche minuto si è nuovamente abbassata. A dire che il passaggio è libero restano quelle associazioni che dicono di sé di rappresentare la società civile ma che in realtà campano da stuoie di chi gli garantisce un contributo per tirare avanti; forse nemmeno quei sindacati governativi per natura, che per un distacco, un trasferimento, un incarico sono disposti anche a partecipare alla liberazione degli intestini di un potente di turno, hanno affermato simili sciocchezze.

Fatto sta che tra ieri e oggi, non ci sono differenze a Catania. Tutto uguale. Anche il dissesto che nessuno sana da almeno un decennio e che ogni giorno che passa peggiora il botto che presto o tardi scoppierà.

E ci vuole faccia per dire che i progetti di questa giunta sono completamente diversi da quelle passate. I progetti sono esattamente gli stessi. Ma non si realizzano. A causa dello stesso personale che non è mai cambiato, a parte l’araldo chiamato sindaco e qualche malcapitato, preso in ostaggio.

Per favore, liberateci solo da una cosa: da voi. Oppure fate le persone serie. Non è tenendoci fuori dai vostri party a spese dei contribuenti che dimostrerete di essere capaci. Anzi, ripetete ogni sera le parole del questore Marcello Cardona: soprattutto, mai con la mafia. Perché anche da questo punto di vista, qualche peccatuccio si è visto. E ci ha fatto schifo.

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Redazione Iene Siciliane

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