a cura di iena memoria d’elefante Marco Benanti
Riportiamo quanto scritto da Claudio Fava nel libro “La mafia comanda a Catania” in relazione al ruolo politico del giornale di Ciancio negli anni in cui Santapaola imperava sulla città.
Una serie di fatti e di riflessioni di grande attualità, alla luce del processo per concorso esterno all’associazione mafiosa dell’editore(prossima udienza il 15 novembre, h 15,30) e del decreto di sequestro e confisca del Tribunale di Catania misure di prevenzione, appellato da Ciancio (si attende fissazione udienza).
“…In questa sua spregiudicata poliedricità c’era la vera anima di Catania, una città in cui erano definitivamente saltati tutti i ruoli: gli architetti comunisti firmavano gli appalti dei cavalieri, i cavalieri addomesticavano i mafiosi, i mafiosi si travestivano da imprenditori. Esisteva qualcosa che teneva saldamente insieme i fili di questo ordito e legava fra loro comportamenti, menzogne e destini: era il senso dell’appartenenza, la certezza di far parte d’uno schieramento che era trasversale rispetto alla città e alle sue istituzioni. Il solerte custode di quel legame era appunto il quotidiano di Ciancio.
“La Sicilia” cominciò a essere sempre meno giornale e sempre più strumento politico: la città andava educata, le sue energie imbrigliate. L’ansia della gente doveva trovare momenti di sfogo e di legittimazione, mai di ribellione. Gli strumenti erano elementari. Una cronaca nera poliziesca, incapace di andare oltre il solito clichè di guerra fra bande. Un dibattito culturale dedicato alla mortificazione d’ogni sintomo di dissenso e riservato a interminabili querelle filologiche (ma esiste veramente la mafia?e che cos’è la mafia? che vuole dire esattamente la parole mafia?). Un’analisi politica prudente, ossequiosa con il Palazzo, cauta con i riformisti, sprezzante con i residui d’opposizione. Per il resto, un assoluto, pervicace silenzio sulla città, sui sintomi del suo decadimento, sui comitati d’affare, sulle nuove gerarchie criminali.
Tacere di mafia e di mafiosi, nella Catania di piombo degli anni Ottanta, era un compito ingrato. Da autentici professionisti dell’omissione. Eppure “La Sicilia”, al di là di ogni pudore, riuscì per molti anni a sopprimere dai propri scritti la parola mafia: usata raramente, e non solo per riferirla a cronache di altre città, mai a Catania. Nell’ottobre del 1982, quando tutti i quotidiani italiani dedicheranno i loro titoli di testa all’emissione dei primi mandati di cattura per la strage di via Carini, l’unico giornale a non pubblicare il nome degli incriminati sarà ‘La Sicilia’. Un noto boss, scriverà il quotidiano di Ciancio: Nitto Santapaola, spiegheranno tutti gli altri giornali della nazione. Il nome del capomafia catanese resterà assente dalle cronache della sua città per molti anni ancora: se vi comparirà, sarà solo per dare con dovuto risalto la notizia d’una sua assoluzione. O per ricordarne, con compunto trafiletto, la morte del padre…”(Claudio Fava, “La mafia comanda a Catania” Laterza 1991, pag 117-118).
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