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Cronache del Regime catanese: tragicomico “Stabile”, appaltato al Pd e da Bianco consegnato al sottoscala della Cultura
Pubblicato il 09 Gennaio 2016
di iena in sala marco benanti
Nella tragicomica farsa del Teatro Stabile coi suoi vertici appaltati a due dirigenti provinciali del Pd e l’indicazione a Direttore Artistico dell’astro della drammaturgia nazionale Giovanni Anfuso, si aggiunge l’ira funesta del sindaco/podestà contro l’uscente Giuseppe Dipasquale reo di non avere ubbidito silente a… quella sorta di “ghigliottina” che gli era stata preparata. Enzo Bianco, colui che ha sempre predicato “la politica stia lontana dalla cultura”, elimina ogni ragionevole dubbio sulla sua bulimica voglia di dirigere ogni cosa per interposta persona: lo Stabile, come il Massimo e persino la Festa di Sant’Agata… roba mia!
E così, col tono minaccioso il nostro piccolo sindaco arringa Dipasquale di “scorrettezza”, smentendo ancora una volta l’ex presidente Nino Milazzo messo lì dall’irriconoscibile Enzo e scappato dalle contraddittorie scelte politicanti. Irrefrenabile il nostro piccolo Enzo quando arma lo scontro con quelli che non ubbidiscono tacendo, ma anche inutile e provinciale quando consiglia al nuovo direttore Anfuso di circondarsi di personalità cittadine che “amano lo Stabile”: l’eterno Pippo Baudo, l’inespresso Guglielmo Ferro, il concorrente Orazio Torrisi, l’incompreso profeta Filippo Arriva e udite, udite, persino il trombato eccellente Vincenzo Pirrotta. Si, proprio così: nella mischia di presunti corollari di Corte offerti al grande maestro Anfuso per non farlo sfigurare troppo, il podestà mette pure Pirrotta che già si sentiva direttore in pectore.
Ma si sa il nostro piccolo dittatorino è imprevedibile nelle bizzose scelte e così complice una “lenzuolata” costata 150 mila nella rassegna I Art, ecco che le “grandi doti manageriali mostrate da Anfuso” hanno preso il sopravvento sul buon senso e la qualità, in una parola sulla Cultura non politicante.
La triste sorte del grande Pirrotta straordinario regista e interprete per ultimo di Terra Matta, individuato da Bianco come comprimario di Anfuso ci pare il retroscena più penoso di questa tragica commedia degna di Re Lear. Un’offesa all’intelligenza, un abbaglio da regime in decadenza, un cascame di basso impero, una tristezza che relega ogni qualità nel sottoscala. Ma d’altro canto se Pirrotta è finito a star dietro la porta di Anfuso, il funambolico Ottavio Cappellani dal sindaco non viene degnato neppure di una citazione: a lui il Teatro è negato. Ha osato parlare contro “Licandrov” e le “lenzuolate” di I Art e si è macchiato -in maniera sesquipedale- di lesa maestà perché non si è genuflesso a Corte?
Questa è Catania nella nuova era della primavera bianchista: grigia e anonima come un concerto di Eugenio Bennato, brutta come il Calcio di serie C, ridicola come quel giornaletto propagandistico diffuso nelle scorse settimane, ingolfata come il traffico di Tondo Gioeni, incomprensibile come le rotatorie di via D’Annunzio: ma sempre sorridente, a comando! Come una puttana, vecchia e abusata.
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