di iena al Servizio della Restaurazione Marco Benanti
Lo aveva fatto il 13 novembre, lo aveva ripetuto il 3 dicembre, ha completato “l’opera” ieri sera, 12 dicembre. Tre consigli comunali fondamentali per la città, tre assenze ripetute: al di là delle giustificazioni (tutti impegni improcrastinabili immaginiamo) Enzo Bianco “è fuggito” davanti a Catania e al fallimento di una città, al quale lui, il podestà della “miglior città” (quell’impasto di perbenismo borghese, progressismo da show di Saviano, mediaticità come ossessione per coprire il nulla, autoritarismo quotidiano) ha dato un fondamentale contributo. Secondo taluni, il principale contributo. Da ricordare nei manuali di Storia.
Intanto, i due consiglieri più vicini a lui, si sono astenuti sul dissesto. Lui semplicemente non c’era. Dicono che sia incombente il suo matrimonio. Che non si celebrerà a Catania. Un evento della mondanità, con ospiti illustri: testimoni di nozze l’ex premier Paolo Gentiloni, l’editore di sinistra Carlo De Benedetti. Si mormora anche della eventuale presenza di illustri esponenti della magistratura. Chissà.
Ecco, mentre la città affonda, si fa anche questo. Sulla sua bacheca si possono ammirare le foto di una presentazione di libro con Gentiloni e tanti sorrisi. Frattanto, a cercare di difendere la sua giunta è arrivato l’ex assessore al bilancio Giuseppe Girlando: quasi mezza pagina de “La Sicilia”, richiami sul web. Insomma mediaticità, confronti veri nessuno.
Si conclude così la parabola del repubblicano venuto da Roma per cambiare Catania: nell’estate del 1988 la Dc andò all’opposizione, lui divenne sindaco, fra gli applausi della cosiddetta “città laica” (dicono che esiste). La sinistra già allora andò dietro il suo carro: ci sarebbe rimasta per anni e anni, mentre lui trattatava con sufficienza quelli della cosiddetta sinistra catanese. E non solo loro. La stampa cominciò a trattarlo con deferenza, come capita solo ai veri potenti e come succede -troppe volte- al giornalismo italiano, quello serio e di sinistra.
Sono passati trent’anni di presenza incombente di un “presunto salvatore della patria”, con il suo mito di rinnovamento: nella pratica perbenismo e pratiche di autoritarismo spinto (che gli “intellettuali di sinistra” a Catania hanno avuto sempre difficoltà a riconoscere), l”allontanarsi di molte personalità che avevano creduto in lui, mentre attorno i suoi uomini -non pochi- di legalità ne praticavano poca. Del resto, la Procura “progressista” ha sempre vegliato: dicono che non sia assolutamente paragonabile alla Procura “brutta, sporca e cattiva” degli anni Ottanta, quella “conservatrice”.
A giugno scorso, il crollo: mentre la Corte dei Conti aveva già emesso il suo verdetto (dissesto, dopo anni e anni di “rimbrotti”), alcuni uomini di stretta fiducia del “podestà democratico” patteggiavano per corruzione e lui si dichiarava “tradito”. Niente, niente da fare: della società civile, del suo mito di carta, non restava altro che il suo silenzio. Omertoso.
Oggi, al suo posto c’è un ragazzo sveglio, che ha rinunciato ad una comoda carriera da notabile per scommettersi, in mezzo ad errori (che sta commettendo) e speranze (ma i segnali di continuità con il passato sono tanti). Sarà difficile, noi staremo come sempre dalla “parte sbagliata”.
Catania è fallita: che dire? Catanese, per una volta, guardati attorno e cerca di fare una scelta vera, non “di vita”. Per una volta, non ti vendere al migliore offerente. Auguri.
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