CRONACHE DEL REGIME: L’ “URLO DI VERITA’ ” DEL “FASCISTA MESSINA” NELLA CITTA’ DEI “DEMOCRATICI DA CONVEGNO”


Pubblicato il 25 Gennaio 2017

di iena al “Servizio della Reazione” Marco Benanti

Serata in consiglio comunale: dall’inchiesta sull’ex assessore Giuseppe Girlando uno spaccato reale del disfacimento di una città.

“Ora però Manlio siccome si sta comportando da stronzo io mi comporto da stronzo e ci va di mezzo qualcuno, io glielo dico farò di tutto perchè la transazione ritardi il più possibile.” Nel vuoto pneumatico della “politica” catanese, in  una fredda sera di gennaio, si consumano le ultime illusioni (se mai ce ne fossero state) sullo stato della democrazia a Catania. Un “guscio vuoto”: la “sostanza” è da tempo sotterrata, vilipesa, oltraggiata,  dal “monopartito” al Potere, quell’intreccio di centrodestra e centrosinistra, che si traduce in professionisti di fiducia, in poltrone&prebende, in“intellettuali di corte”, in “informazione” sospesa fra conservazione e finta innovazione, in finta sinistra, in accordi incoffessabili e incoffessati, dove tutti sono amici, a tavola come in tribunale, la sera soprattutto dopo magari finte contrapposizioni quotidiane.

Le parole che pronuncia il consigliere Manlio Messina, scandendole dentro un’aula cinica e distratta come la città che rappresenta, in una posto normale di una democrazia occidentale, avrebbero fatto sobbalzare non una città, ma un intero Paese. Perché quando si arriva anche solo a tentare di ricattare un organo democratico il confine con un Regime è superato. Ma di questo e di tanto altro ai catanesi, soprattutto ai “catanesi perbene”, importa poco o nulla. La loro vita scorre uguale come sempre: un “ego” smisurato in un deserto di provincia. Con risultati? Zero. A parte la propria vita. Individuale. Che il resto vada in malora.

Vada in malora la legalità: la violazione dell’articolo 61 bis del regolamento del consiglio comunale. Lo ricorda Messina. C’è un’inchiesta, una comunicazione giudiziaria, un mandato di comparizione per la giunta, il sindaco, uffici dell’amminstrazione? Bene, il sindaco deve riferire al consiglio, o meglio al Senato della città. Lo ha fatto? L’assessore alla legalità Rosario D’Agata, a cui è rivolta la domanda, non risponde. 

Sarà questa una delle tante mancate risposte di una serata da brividi e non per il clima. Da brividi perché, innanzitutto, il cinismo, il menefreghismo, il tirare a campare di Catania è malattia. Un vuoto politico che è anche vuoto esistenziale, un guardare le cose che passano, anche le più gravi e fottersene. Sempre. Se ne fotte il  presunto peggio, ovvero l’immensa plebe –anche quella istruita- che abita in questa città in disfacimento.

Ma non solo: se ne fottono i “migliori”, quelli dei “premi antimafia”, quelli delle “lezioni di morale”, quelli del “ora ti spiego”. I peggiori.  Autentici “professionisti del falso”. Ma da professionisti veri, esperti di immagine meglio di un navigata modella d’alta moda. Meglio di una buttana, quando fa finta di godere.

In realtà, il volto autenticamente violento, cento, mille volte più violento degli scippatori, dei rapinatori, degli spacciatori che riempiono –tranquillizzanti- “la pancia” e le pagine della “città perbene”.

La “politica”, anche stavolta, è rimasta pressochè in silenzio: a parte il solito Iannitti, ovvero la sinistra non di Palazzo, ovvero la sinistra non alla Licandro, poche parole da poche associazioni, il “take” strillato dell’Ansa del senatore Mario Giarrusso (M5S),  qualche reazione estemporanea. In mezzo al solito “deserto”. Meglio non esporsi vero? Che poi il podestà s’incazza. Avanti sudditi. Che poi vi metterete d’accordo.

Ieri sera, a parte le parole di Messina e di uno che ragiona come il vicepresidente del consiglio comunale Sebastiano Arcidiacono, poco o nulla è arrivato. Moderazione, moderazione anche da Niccolò Notarbartolo. Peccato.

“Assessore d’Agata, era a conosceva sapeva dell’indagine? Gradirei una risposta visto che è  l’assessore alla legalità”- ripete, da solo, Manlio Messina.

http://www.ienesiciliane.it/articolo.php?aid=8075

Presidente era stata informata dal sindaco su questa vicenda?” Risposte? Nessuna.

“Avete preso in giro nuovamente la città dicendo che l’assessore si stava dimettendo per ragioni d’impegno lavorativo”. Le parole del consigliere Messina risuonano. Ma nessuna dice niente. Chessò un pirito, chessò un “Belluscone in galera”. Niente, nessun sussulto, nemmeno quelli a comando.

L’avv. Giuseppe Girlando si dimette da assessore al bilancio, di fatto il “numero due” dell’amministrazione Bianco, il 4 ottobre: l’11 ottobre è la data della richiesta di rinvio a giudizio. Accusa: tentata concussione. Da colpire uno dei pochi –se non l’unico- di quelli che fanno opposizione sul serio. Anche a costo di mettere col culo per terra un’azienda e 70 padri di famiglia. Bazzecole.

“Repubblica” ieri ha messo la notizia dell’inchiesta su Girlando in fondo ad una pagina delle cosiddette “cronache siciliane”. “Repubblica” resta uno dei loro giornali, il giornale della “gente perbene”. Dicono.

“Che strana coincidenza, assessore d’Agata” –afferma Manlio Messina in tema di tempistica fra tempi dell’ inchiesta e dimissioni dell’assessore. E’ un problema giudiziario? Solo questo? No, è un problema politico grande quanto una casa. E un problema morale, magari. Stavolta, quelli della “legge uguale per tutti” non ci sono: loro vanno a comando, sono ordinari italiani, basta che abbiano la “bandiera giusta”. Innocui.

Lo ritiene moralmente corretto che un assessore minacci una società in questo modo?” Non siamo in Sudamerica, siamo in una città dell’Occidente cosiddetto liberale. Il consigliere (“oh,oh, oh quanto è fascista” –dicono quelli “perbene”) chiede. Non risponderà nessuno.

Per chi scrive i veri fascisti siete voi del Palazzo, i vostri cortigiani e la “vostra città” anche e soprattutto quella che fa finta di contestarvi. “Professionisti della democrazia parlata e non praticata”.

Ma prima di tutto c’è da notare il loro metodo di governo. Tradotto il loro fascismo, realizzato e legalizzato, praticato da anni contro chi “non sta in riga”, contro chi non è e non vive da burattino. In mezzo a tanta compiacenza, a tanta tolleranza. Come quello del sindacato. Dicono che esista. 

Ma c’è ancora gente che non vuole finire a brioche o a passeggini la domenica.

Girlando al direttore di “Simei” (l’azienda che attendeva e attendeva i propri legittimi soldi. Che non arrivavano mai. E’ arrivato semmai il fallimento): “Lei si trova nel mezzo, veramente  io sono troppo incazzato,  io l’unico modo che ho per  punire Manlio Messina è questa cosa , ritardando la sua transazione”

L’unico modo che aveva Girlando per punire Manlio Messina era quello di fare fallire un’azienda e 70 dipendenti. In poche parole, la misura non di un uomo, ma di un modo di intendere come amministrare la cosa pubblica. Chi non obbedisce va colpito: questi sono i democratici. Questi sono la classe dirigente dell’ “Italia migliore”. 

“Non dica che non lo sapevate perché più volte ho manifestato le difficoltà di questa azienda…” Messina continua. Ma D’Agata (assessore alla legalità, declamata), quando risponderà, farfuglierà, girerà attorno, insomma il classico prete che cerca di mettere assieme il “Diavolo e l’Acqua Santa”. Non riuscendoci.

Cosa avrebbe dovuto fare l’azienda? Urla Messina: c’era un “bivio, fallire o commettere un reato”. Come? Dicendo a lui di “abbassare i toni e fare passare una delibera, quella di ‘Sostare”-ricorda il consigliere (“quello fascista, brutto, sporco e cattivo”). Lui ha preferito tenere la barra dritta, piuttosto che trasformarsi nel solito “sperto” che si fa gli…affari propri.

Ha scritto, sul suo profilo facebook, il consigliere comunale Ludovico Balsamo: umanamente dispiace se l’ex Ass. Girlando dovesse andare in galera a seguito di quanto oggi si apprende dalla stampa.
Non posso però dimenticare le centinaia di viaggi a vuoto del sig. 
Gianluca Chirieleison a palazzo dei chierici per addivenire ad una transazione che gli consentisse di ricevere sebbene con diversi anni di ritardo le somme spettanti.
Non posso dimenticare la rabbia,la disperazione di un’ imprenditore che ha fatto di tutto per non dover dichiarare fallimento e mandare a casa 70 padri di famiglia.
Non è possibile però liquidare le fatture solo a chi si sottomette prostrandosi ai piedi dell’ assessore o di chi gli avrà dato ordini.
Questi atteggiamenti sono tipici di cosa nostra e noi consiglieri prendiamo le distanze,queste metodologie vanno condannate senza pietà.
Mi congratulo con l’impresa e con il collega 
Manlio Messina per aver tenuto la testa alta anche se a carissimo prezzo,la vita da ad ognuno ciò che si merita…”

Ma dopo aver ricordato a chi non lo sapesse cosa sono gli “atteggiamenti tipici di cosa nostra” (altro che spacciatori di droga! Altro che rapinatori!), torniamo al “cattivo” Messina e al finale del suo intervento in consiglio. Quando parla all’assessore alla legalità (proprio così, alla legalità) D’Agata in riferimento ai soliti comunicati stampa, saltati fuori pure stavolta a non dire nulla, realizzati “…da qualche addetto stampa abusivo, ma su questo pagherete molto presto…” Un altro scandalo, vero: una comunicazione istituzionale organizzata in spregio non solo alle regole, ma anche al buon gusto, alla razionalità, alla decenza. Una situazione ormai divenuta anche oggetto di battute da bar. Ma per fortuna la loro “legalità” ha colpito altrove. 

Ma perché non dite come stanno le cose. Sapevate che c’era un’inchiesta e che l’assessore si è dimesso per questo…” Il finale del “fascista” Messina è l’ Urlo di Verità nel deserto. Ci voleva un “fascista” per pretendere Verità e Giustizia da sedicenti “democratici”. Gente da convegno. Nulla di più. Questo è l’ultimo, l’ennesimo, tragico sberleffo di Catania.


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