Cronache del Regime, nomine partecipate, Niccolò Notarbarolo (Pd): “la questione morale non è affare del sindaco”


Pubblicato il 26 Settembre 2016

ecco la missiva

di Niccolò Notarbartolo (nella foto a sinistra, mentre ascolta la “lezione” di Francesco Marano, in mezzo Sebastiano Arcidiacono):

Gli incarichi che sono stati assegnati nelle ultime settimane hanno modificato in maniera profonda i vertici della macchina amministrativa della città, che è fatta non solo di quello che avviene negli uffici comunali, ma anche della galassia di società partecipate che offrono servizi ai cittadini. I personaggi che sono stati individuati avranno il compito di gestire quel piccolo potere e quelle poche risorse che rimangono a un’amministrazione pubblica locale. E, nell’attesa che si concluda il percorso già avviato e si occupino con decisioni già note anche le ultime caselle libere della giunta, forse è necessaria una riflessione. Su cosa significhino queste scelte, ma anche su ciò a cui condurranno.

Io conosco quasi tutti i nuovi «decisori» e, devo confessarlo, nutro più di una perplessità su alcuni di loro. I miei giudizi umani e politici sono severi. Giudizi che condividevo con molti che credevano alla promessa di discontinuità con un passato non certo felice per questa città. Ma sono opinioni personali e, in quanto tali, le tengo per me. Le considerazioni imposte dal mio impegno politico, invece, sono quelle legate ai meccanismi di scelta della pubblica amministrazione e alle loro conseguenze. Questo valzer di nomine sembra raccontare una politica fatta di spartizioni di posti e mediazione tra precisi interessi. Schiacciata in mezzo è rimasta l’efficienza dei servizi offerti dal Comune e dalle sue partecipate. Sono state selezionate le professionalità migliori? Si è pensato a come rendere più funzionale la macchina amministrativa? In breve: esiste una strategia generale? Se sì, se ne parli. Perché, anche se qualcuno insistentemente lo nega, a Catania le cose vanno male. Ed è utile che la città possa capire le decisioni che riguardano il futuro di tutti.

I nuovi vertici sono facilmente riconducibili alle aree politiche che li hanno indicati. Di più: la quasi totalità di loro ha rivestito ruoli politici all’interno delle istituzioni. E oggi, magari, ne è fuori solo perché bocciato alle ultime elezioni o perché in attesa di una ricollocazione. Tutta politica anch’essa. Ex consiglieri, ex assessori, ex deputati chiamati a svolgere un ruolo in virtù di chissà quali competenze. Il sindaco di Catania è stato bravissimo a declinare la rottamazione di renziana matrice in riciclo. Mi spiace scomodare Enrico Berlinguer, esercizio abusato da molti, però credo sia il caso di riprendere il vero significato della «questione morale» che lui teorizzava. «È una questione fondamentale per dimostrare che i partiti siano in grado di sapersi rinnovare veramente – diceva nel lontano 1981 – Mettere fine cioè alla commistione tra funzioni di partito e funzioni statali. Perché questo è il male da cui sono sorti tutti i fenomeni degenerativi nella vita pubblica e nella vita stessa dei partiti».

Quella commistione oggi è perfetta e quei «fenomeni degenerativi» si sono ulteriormente aggravati. In un momento storico in cui la profonda debolezza dei partiti può essere presa come un dato assodato, il posto delle formazioni politiche, al cui interno si realizzava una mediazione, è stato assunto, invece, dai singoli politici che detengono il potere. O, peggio ancora, che ambiscono a detenerlo. E, come sempre in questo periodo, il partito democratico risulta “non pervenuto”. Non credo che Enzo Bianco si preoccupi particolarmente di tradire la memoria di Berlinguer, né credo che metterà in discussione le sue scelte. Probabilmente confermerà anche il neoavvocato senza esperienza e, forse, senza titoli idonei a ricoprire il ruolo che gli è stato assegnato. Lui, però, è forse l’unico ad avere veramente qualcosa di sinistro e questo non si può non riconoscerglielo.

Le nomine di questi giorni sono state utili a sancire un principio incontrovertibile: per Bianco a Catania non esiste l’Accademia. Non esistono gli esperti, i professionisti, i manager. Secondo lui non esistono competenze, escluse quelle di chi frequenta i palazzi della politica o le segreterie di quegli onorevoli e senatori che hanno fatto e disfatto la città. La questione morale, evidentemente, non è affare del sindaco. Eppure è lui stesso che, più volte sconfitto dal centrodestra in passato, ha demonizzato i dieci anni in cui non ha amministrato il capoluogo etneo. Chi c’era prima veniva definito «ladro» o «incompetente»: da quel contesto, però, questa amministrazione trae la propria linfa vitale. Le nuove nomine certificano la continuità tra ieri e oggi. Gli stessi nomi, le stesse idee, gli stessi interessi sotto un diverso vessillo.

Enzo Bianco sia onesto. E se ritiene che questa sia la migliore classe dirigente possibile si scusi con chi prima era oggetto delle sue accuse infamanti: Umberto Scapagnini, Raffaele Stancanelli, Raffaele Lombardo, Giuseppe Castiglione, Pino Firrarello e Giovanni La Via. A loro il merito di avere formato cotanti campioni politici. Ma il passato è troppo vicino: vantare una verginità inesistente è ridicolo. Lo facciano gli esperti di coerenza politica che in questi giorni si sono affrettati a difendere le scelte del sindaco. Loro – almeno – ridicoli lo sembravano anche prima.

Questo modo di fare politica non è utile alla città, perché non rende efficienti i servizi. E non è utile neanche alla politica stessa, perché dà ragioni e voce ai suoi detrattori. Nel clima di sfiducia verso le istituzioni che contraddistingue questo momento storico, pensare a salvare una classe dirigente già fallimentare non dovrebbe neanche essere considerata una opzione da vagliare. Non sono queste le decisioni da prendere per fare funzionare una città che oggi non funziona. Di questo sindaco si dice spesso che sia ostaggio e alla mercé di chissà quali compromessi. Una volta tanto abbia coraggio ed umiltà e dimostri di non esserlo. 


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