Nemmeno il tempo di capire cos’è successo e subito….
di iena miscredente marco benanti
“Catania fa paura”: lo scriveva Pippo Fava negli anni Settanta. Decenni fa.
Catania oggi è una città in ginocchio, socialmente, economicamente e sopratuttto culturalmente. E fa vedere il peggio di sè. Chi ancora crede che sia un problema “di destra” o “sinistra” si accomodi: tanto resta solo e drammaticamente un problema di sistema. Il maledetto “sistema Catania” sempre rinascente, sotto mentite (o note) spoglie. Il sistema che crea e si alimenta di disperazione.
Stamattina, una persona con probabili problemi personali ha aggredito il sindaco Bianco. Un gesto che condanniamo. Punto.
Non ci accodiamo, di certo, alla “pioggia” di farisaici commenti che stanno cadendo sulla città. Messaggi che si arrampicano sul passato, per non guardare in faccia il presente. Che fa paura.
Certo, il nostro “no alla violenza” è netto. E non ci torniamo a dirlo.
Ma non possiamo non vedere e scrivere che Catania oggi è una città a pezzi. E’ una città che vive un disagio sociale dirompente, non attira investimenti; è una realtà che sopravvive di un’economia drogata, che propone una classe dirigente che vive di propaganda, di flash, autoreferenziale e irresponsabile, potendo contare su “sponde medatiche” da tempo evidenti. Che si assuomono la corresponsabilità di non raccontare -per davvero fino in fondo- la città, le occasioni mancate, il disastro civile, le giovani generazioni lasciate allo sbando, senza modelli culturali.
La propaganda uccide molto più della violenza spicciola di ogni giorno: la propaganda è di per sè violenza, “pialla” le teste e le coscienze. “Uccide”, insomma.
Non vi proponiamo tutti i messaggi di solidarietà al sindaco: vengono anche da soggetti che dovrebbero riflettere sul loro operato di ogni giorno, per capire se per caso non sono anche loro corresponsabili del disastro culturale e civile di una città.
“Catania fa paura”: dopo decenni, dopo tre, quattro decenni, è la solita città. Che fa paura. Che fa paura soprattutto per la sua “classe dirigente”. Che la usa, usa Catania, per sè: la “prende”, la “paga” (metaforicamente s’intende) e va via. Verso il proprio tornaconto. Proprio come si fa, pensateci bene, con le buttane.
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