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Cronache (dis)umane, “una drammatica esperienza”, l’avv. Antonino Ciavola racconta: “una giornata con Benanti”
Pubblicato il 21 Ottobre 2015
Habent sua sidera lites.
o giovine avvocato,
non affezionarti a questo motto:
brucia il foglio su cui lo trovi scritto,
e mettiti fervidamente al lavoro.
(Piero Calamandrei)
Una giornata con Benanti
Avv. Antonino Ciavola
Il titolo è già ingannevole, perché una intera giornata con Benanti sarebbe obiettivamente troppo pesante per chiunque.
Eppure, malgrado i suoi detrattori lo dipingano come un soggetto pericoloso che va in giro con un registratore sempre acceso in tasca, ho sempre provato una istintiva simpatia per questo ragazzone che, in una città che non ha mai conosciuto la libera stampa, prova a informare uscendo dagli schemi.
Quella mattina lo incontrai davanti all’aula delle udienze collegiali della Corte d’Appello, e con la solita aria apparentemente distratta mi chiese che aria tirava al Palazzo di Giustizia.
Gli risposi che non sono in grado di percepire queste arie, ma soltanto di osservare: e lo invitai a guardare ciò che accadeva all’interno dell’austera aula d’udienza.
La prima cosa degna di nota era un avviso, esposto in bella mostra, che invitava gli avvocati a scrivere sul verbale già predisposto le loro deduzioni, anziché continuare su quello precedente.
Ci siamo interrogati chiedendoci se fosse preferibile usare nel al posto di sul, per poi convenire sul fatto che l’importanza dell’annuncio non stava tanto nella sua correttezza grammaticale, ma nella legalizzazione di una prassi contrastante con il codice.
Se è vero infatti che da decenni i verbali sono scritti dagli avvocati, è anche vero che secondo il codice la verbalizzazione è curata dal cancelliere sotto la direzione del giudice.
L’avviso, pertanto sembrava avere più potere di un decreto legge, legalizzando una prassi senza necessità di fonte normativa.
Osservammo poi la lunga attesa di chi attendeva la chiamata della propria causa, ed io rilevai che in passato la Corte d’Appello era frequentata soltanto da avvocati anziani, mentre adesso l’inutilità dell’udienza era resa manifesta da numerosi giovani sostituti con il solo compito di andare a prendere un rinvio al 2018.
Dopo le prime udienze pubbliche, la Corte si ritira in una piccola stanza posta alle spalle dell’aula grande, in camera di consiglio: e lì gli avvocati accedono due per volta, dopo aver attraversato lo spazio che contiene il grande scranno.
Per accedervi percorrono una scaletta di legno e proprio lì, necessariamente visibile, troviamo un piccolo manifesto.
Come è noto, per affiggere un qualunque volantino o manifesto all’interno del Palazzo è necessaria una specifica autorizzazione del Presidente della Corte d’Appello.
Eppure, sono certo che quel manifesto non sia mai stato autorizzato.
Raffigura un’immagine di Gesù dalle cui mani partono due fasci di luce, uno rosso e uno azzurro, come i colori della squadra cittadina: un simbolo religioso vestito di localismo e quindi perfetto per la nostra città.
Sotto, vi è la scritta Gesù, io confido in te.
Questo è il messaggio che legge chi si accinge a discutere la propria causa, e dopo due passi può rendersi conto, se alza appena lo sguardo e nota il rettangolo bianco là dove era apposta una targa, che la scritta la Legge è uguale per tutti è stata rimossa.
Il processo si celebra mediante un rito e il Calamandrei ci ricorda che in origine le difese erano preghiere e la sentenza rappresentava il giudizio di Dio.
Forse i piccoli segni che abbiamo notato rappresentano un ritorno alle origini, anche se il rito non è poi così solenne.
Comunque, meglio affidarsi alla religione che all’astrologia, giacché habent sua sidera lites significa che ogni lite (giudiziaria) ha il proprio destino scritto nelle stelle, e che ogni sforzo è vano, dato che tutto è già scritto.
E’ il momento della mia causa: ancora un’occhiata al Gesù rossazzurro e vado incontro al mio rinvio per il 2018.
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