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Cronache “intellettuali” sicule: il decoro piccoloborghese del prof. Vecchioni
Pubblicato il 05 Dicembre 2015
Ma quanto è intelligente ‘sto signore da Carate Brianza! (una foto dei suoi successi)
di iena reazionaria marco benanti
Il benpensante è uno dei protagonisti di questa epoca di non libertà. In tutti i periodi in cui la libertà, intesa come espressione vera di scelte e opinioni radicalmente diverse (non quindi, soltanto un po’ meno diverse le une dalle altre), è stata ridotta in una sorta di stato matrimoniale e/o sotto controllo femminile, cioè in una scontata “sovranità limitata”, le “migliori espressioni” dibattute dalla maggioranza sono state enormi banalità, finti rivoluzionarismi, teatri della (fittizia) “alternativa”. Insomma, rappresentazioni di cambiamento, non di vero cambiamento.
Tanto per cambiare, nell’Italietta ignorante, che non legge, disprezza l’istruzione (non parliamo della conoscenza di “Maestra Storia”, vissuta come “materia inutile”) e sta attaccata alla telefonia in tutte le sue salse, di chi si parla?
Di una banalità, o meglio di una serie di banalità, quelle del prof. Vecchioni da Milano. L’altro giorno, il prof. ha fatto “l’intellettuale”, in una interpretazione piuttosto scontata, piuttosto femminile: dalle sue labbra è partita una “provocazione”. O almeno, questo dovrebbe essere stato l’intento. Rileggiamo: «credete che sia qua soltanto per sviolinare? No, assolutamente. Arrivo dall’aeroporto, entro in città e praticamente ci sono 400 persone su 200 senza casco e in tutti i posti ci sono tre file di macchine in mezzo alla strada e si passa con fatica. Questo significa che tu non hai capito cos’è il senso dell’esistenza con gli altri. Non lo sai, non lo conosci. È inutile che ti mascheri dietro al fatto che hai il mare più bello del mondo. Non basta, sei un’isola di merda». Ed ha poi rincarato la dose: «La filosofia e la poesia antiche hanno insegnato cos’è la bellezza e la verità, la non paura degli altri, in Sicilia questo non c’è, c’è tutto il contrario. E mi sono chiesto, prima di arrivare qui, se dovevo dirle queste cose a voi ragazzi». «Non amo la Sicilia che rovina la sua intelligenza e la sua cultura, le sue coste – ha chiosato -, quando vado a vedere Selinunte, Segesta e altri posti di questo tipo non c’è nessuno. Non amo questa Sicilia che si butta via, che non si difende».
Rivediamo: il “problema” quindi è l’ordine, l’indisciplina, il senso della socialità visto come “convivenza civile”. Le regole, in sintesi estrema. Insomma, una piccola “enciclopedia” del decoro piccoloborghese.
Per pochi secondi, a leggere queste banalità, ci siamo sentiti, con nostro orrore, quasi trasportati in un mondo dove tutto è “ordine”, dove le piante sono sistemate bene in terrazze spazzate da mane a sera, dove i piatti, i bicchieri e in mezzo i libri (pochi) e le pentole non finiscono mai nel “posto sbagliato”. Un ambiente che poi trovare nelle case radical chic della “Catania bene” (non a caso, il loro sindaco si lamenta degli scippi che rovinano l’immagine turistica della città, per cui viva viva la polizia), come in quelle della “Milano progressista”: un gusto middle-class (da tempo curiosamente divenuto “di sinistra”) che sta sopra tutto. In nome sopra ogni cosa di una cosa: l’ordine. Che consente la “convivenza civile”. Magari col “casco messo in testa” e senza “triple file”. Perché questo significa coltivare i “valori”: se poi magari il “modello di sviluppo” italiano, europeo, mondiale (mi raccomando, su questo moderazione e irrisione per chi tenta altre “vie”) macina vite a decine di migliaia, beh, questo forse è solo un…”dettaglio”. Mai tentare di guardare l’insieme, che poi magari uno si sente girare la testa. Meglio “l’ordine”, la “pulizia”. E i piatti in ordine. Come i caschi ben allacciati.
Certo, c’è l’amarezza (almeno così si tenta di lasciare intendere) per le “occasioni perdute”, dal mare ai tesori dell’Isola: sostanzialmente, discorsi vecchi e retorici che si possono sentire nei salotti palermitani o catanesi. Normali autoflagellazioni, finte e da “lavata di coscienza” di chi magari per secoli di queste “occasioni perdute” non è interessato un fico secco.
Ma su tutto, questo modo di “parlare” fa chic.E, infatti, basta leggere molte reazioni sui social-network per cogliere i “ragionamenti intelligenti” di chi, in questo modo, magari tenta di “differenziarsi”. In nome della “verità” (la banalità mascherata da “verità”).
“Ce la dobbiamo dire”, sì, come no… la verità. E anche lì consensi. “In fondo è vero, facciamo schifo”. E dopo trenta secondi è tutto dimenticato, pronti per “ripartire” ad “ingoiare” qualunque cosa, dall’omicidio alla raccomandazione, passando per l’abuso di potere (“perché mondo è stato e mondo è”). E le teste si piegano: “vero è”.
Nel frattempo, mentre i siciliani “emigrati” al nord si confermano siciliani o meglio italianissimi (insultando o solo irridendo chi è rimasto nell’Isola), il prof. Vecchioni è pronto ad un altro dei suoi “sermoni”? Magari sul “Sud piagnone”? Lo attendiamo, con curiosità: per gli sbadigli, abbiamo già pronto un thermos di caffè.
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