di Fabrizio Grasso
L’omertà non centra più nulla. È l’afasia a dominare la carne matta dei catanesi. L’ignoranza che di per sé non è criminale (anche se “la legge non ammette ignoranza”) è da decenni il requisito minimo richiesto a chi voglia partecipare alla vita pubblica e occupare cariche e poltrone all’ombra dell’Etna. Ma l’ignoranza da sola non basta a spiegare la decadenza prima morale e poi sociale della città. Anche l’avidità infatti ha avuto la sua parte.
Un matrimonio perfetto quello tra ignoranza e avidità e fruttuoso, perché ha partorito il catanese del terzo millennio. Il sorriso da PR, la cultura da DJ, questi i tratti distintivi di questa nuova umanità che è abituata fin dall’adolescenza alla cultura dell’elemosina, perché per frequentare i locali in della city (ché città suona provinciale) è bene essere inseriti in una delle tante “liste” compilate da ragazzi e ragazze che fanno così la loro gavetta politica per accedere un domani, che ahimè è già presente, a cariche istituzionali. E dalle “liste” d’ingresso alle liste elettorali il voto è breve e la x sulla scheda è solo un altro shottino da mandare giù al ritmo di un ritornello ieri e di uno slogan domani. Il poco di pudore rimasto permetterà a qualcuno di riconoscersi in queste descrizioni, ma non si crucci chi si specchia, perché la nostra è una fotografia sfocata in cui siamo todos caballeros.
Insomma, di clamoroso al Cibali non c’è più nulla e anche la mafia è folklore del millennio passato. Certo, i campanelli d’allarme suonano ancora ogni tanto, ma tra l’indifferenza e il fastidio di chi sarebbe chiamato a intervenire. Catania è già fallita e purtroppo non solo economicamente e non serve la certificazione della magistratura e la nomina di un commissario per registrare un dato che che è evidente a chiunque faccia una passeggiata in via Etnea.
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