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Cronache tragiche catanesi, è “giungla”: la “buona borghesia” scopre la violenza cittadina! Quarant’anni fa Pippo Fava già la descriveva. Esattamente o peggio di oggi
Pubblicato il 29 Agosto 2015
di iena memoria d’elefante marco benanti (foto -scattata nel quartiere Barriera- pubblicata stamane su “La Sicilia”)
Mentre i media stanno descrivendo l’ennesimo “scandalo”, una festa di compleanno, con palco abusivo, per un boss,
mentre da una settimana il giornale locale descrive una “città violenta, senza regole”,
mentre il sindaco si mostra in show mediatici “contro le piccole e grandi illegalità” (ovvero posteggiatori abusivi e automobilisti indisciplinati), con giornalisti al seguito,
mentre i quartieri popolari e periferici vivono l’ennesima stagione del totale, cinico e borghese disinteresse dell’amministrazione comunale,
mentre l’abusivismo è la regola, dal venditore di carciofi all’ufficio stampa del comune,
mentre il catanese vive le sue solite giornate dietro l’unica religione vera che conosce, ovvero il denaro,
ecco in questo “quadro innovativo” riportiamo quanto scriveva Pippo Fava su “La Sicilia” degli anni Sessanta e Settanta (da “I Siciliani” Cappelli Editore, 1980).
La “truffa politica” della “contrapposizione destra-sinistra”, della “città cattiva” quando governano taluni e “buona” quando governano altri, può trovare consensi solo fra gli allocchi.
Ecco cosa scriveva Fava Giuseppe…
“…Ecco: il concetto che centinaia di migliaia di persone abitanti nelle città e province limitrofe hanno di Catania, è questo! Una città che fa paura! Fanno paura la velocità ossessiva della vita, la rapacità, l’imbroglio l’incombenza continua della truffa, il denaro falso, l’aggressività, la sporcizia, il caos del traffico, la presenza continua del ladro, la fulmineità dello scippo, la prepotenza, la violenza, le banche presidiate dai poliziotti privati con le divise da sceriffo, le squadre dei “falchi” (unica istituzione in Italia) con i giubbotti di pelle nera e le motociclette giganti. Un distinto signore che vive nella sua cittadina, ossequiato, salutato e quindi rispettato e protetto anche da colui al quale usa socialmente sopercheria, questo galantuomo che al suo paese è certamente qualcuno, arrivando a Catania perde qualsiasi connotato, diventa nessuno, può essere aggredito, scippato, derubato, inseguito come qualsiasi altro, e se protesta viene preso anche a schiaffi e redarguito….
A Catania la violenza è totale, cioè non è soltanto l’aassassinio fra gruppi rivali, la sparatoria improvvisa, i cadaveri in mezzo alla strada, ma ogni altro tipo di violenza possibile, il furto dell’auto, lo scippo, la truffa, l’imbroglio, i soldi falsi, l’arroganza, la perentorietà, il sarcasmo, la sensazione che alcune antiche regole borghesi della vita comune siano state cancellate per sempre e che governi invece una regola di vita che ha tre componenti essenziali: il potere politico, la ricchezza, la violenza. Chi è fuori da queste tre forze umane non trova posto! Non riesce a vivere!….
La parte più miserabile della popolazione, respinta nel ghetto, culturalmente disarmata, politicamente impotente non ha altro mezzo per riconquistare la città che la violenza. E la esercita sempre e dovunque, contro chiunque…”
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