di iena politica Marco Benanti
Ha scritto sulla sua bacheca facebook:
“uno scatto d’orgoglio, stamattina al bar, nel vedere un’intera pagina dedicata alla mia città, sul quotidiano locale. Sfodero gli occhiali con teatralità, leggo che c’è scritto e oltre alla faccia casca a terra il sorriso, il buon umore e la mancia che mi sono sentito in dovere di lasciare. Quello che salta agli occhi, è che l’operazione fumo negli occhi dell’amministrazione è solo interna, da fuori è tutto chiaro. La città è fuori controllo, ammetterlo ufficialmente non solleva dalle responsabilità. Altro che bellezza, a Catania di condivisa c’è soltanto la disfatta.”
L’articolo pubblicato da “Le Parisien” sulle condizioni dell’ordine pubblico a Catania sta suscitando reazioni varie. Immediamente “l’orchestrina di Palazzo” si è messa all’opera. Superando il ridicolo, come suo costume invalso. E la “macchina della propaganda” non sta solo in Municipio.
Ma come vede la condizione catanese da Parigi Jacopo Leone, catanese, esperto di grafica, autore di quelle righe sul suo profilo?
Ecco le sue risposte ad alcune nostre domande:
Jacopo Leone, come ha vissuto l’articolo de “Le Parisien” su Catania? Quali le sue riflessioni?
Mi è andato di traverso il caffé. Nell’arco di pochi secondi gli occhi brillavano per due motivi opposti, orgoglio e sconforto. È stata una scena surreale, ho visto la foto a tutta pagina e ho esclamato “è la mia città!!” con tale ardore da attirare le solite canzonature: “dovresti vederti, ogni volta che si parla di Catania sembra la notizia dello sbarco sulla luna, bisognerebbe filmarti! Cosa dicono questa volta?”. Azzardo una traduzione simultanea, e nel dilungarmi mi appello alla scarsa conoscenza della lingua. Inutile fingere, ero già in preda allo sconforto. Non è tanto il leggere quelle cose (che per quanto conosci, ferisce comunque il sentirtele dire), quanto il fatto che corrisponde a ciò che vedi quotidianamente nella realtà e che istituzionalmente ci si ostina a negare. Catania è alla deriva, questo è evidente. Poco importa di chi è la colpa e se tra queste macerie si aggirano turisti. È un dato di fatto sotto gli occhi di tutti. Non funziona più neanche il distogliere lo sguardo. Non c’è dove andare.
Quali critiche lei rivolge all’amministrazione comunale in carica?
La finzione, la cecità, l’ipocrisia. E quella forma subdola di incultura che finisce per essere la superficialità. La politica delle quinte teatrali, delle scenografie di giornata dietro le quali tutelare gli interessi speculativi di sempre. La finta arte sbandierata come un paravento. Il culto dell’immagine, spesso di cattivo gusto (ma dico, come si può celebrare la sede della base operativa regionale di Frontex con una foto, pubblicata sul quotidiano locale con tanto di addetto stampa al seguito, in cui si ritrae il primo cittadino al mercato del pesce con in braccio il pescato fresco?). Non sono un politico, ma quel che vedo è sufficiente a spingermi a prendere le distanze. C’è poco da fare, gli interessi si agitano nei progetti, non nel completamento degli stessi. Meglio distruggere per chiedere fondi speciali finalizzati a ricostruire, altrimenti cosa ne viene? Perché risolvere le cose quando conviene mantenerle critiche? La gestione del patrimonio è un costo, a chi giova averla a cuore? La continua emergenza è più lucrativa, questo da sempre. L’innegabile capacità di catalizzare fondi, che riconosco, genera acquazzoni speculativi che non servono alla tenuta del terreno, è pioggia che non abbevera il tessuto, ma corre sulla pelle devastata della città per disperdersi a mare. Gestire le risorse cavalcando i costumi correnti equivale a una rinuncia, senza che lo sia. Quindi la paralisi. Non mi conforta la certezza che chi c’era prima era peggio, e soprattutto che sarà ancora peggio chi verrà dopo. Non sono nostalgico e neppure ottimista. Sono preoccupato.
Al di là delle questioni politiche, Catania che periodo vive, a suo avviso?
Ha perso l’equilibrio. È una città lacerata, e se non si ricuciono queste fratture non vedo come possa tornare a camminare. Imbarca acqua e ad ogni burrasca corre il rischio d’affondare. Catania è una degenerazione che si mantiene in vita, che si alimenta di se stessa in una simbiosi nefasta. Tutti bravi a cogliere le occasioni mancate. La stessa ipocrisia e cattiva coscienza che rilevo nell’amministrazione, la riscontro spesso nelle persone. Non è solo un problema della politica. L’intreccio parassitario infesta i campi incolti. L’abbandono è ciò con cui identifico la mia terra. Con questo non dico che –proprio grazie a questo- non ci siano le condizioni per una rinascita, dico solo che al momento sono io che non le vedo. Inoltre, ci vuole tempo. E Catania è una città che ne divora parecchio, soprattutto se glielo si dedica.
Ci sono episodi, eventi, situazioni che suscitano o hanno suscitato la sua critica in particolare?
Mi limito a quelli recenti, alcuni piuttosto banali. Eppure simbolici. Non sono certo l’oggetto della questione, ma lo inquadrano. Per esempio l’affare dei Silos del porto. Un Sindaco che censura le tematiche scelte dagli artisti è qualcosa di inaudito, tranne a Catania. Evitare argomenti sconvenienti per “l’immagine della città” è sconveniente per l’immagine della città. Il fumo negli occhi è diventato policromo. Le tematiche (buone per tutte le occasioni) accecano il mito in chiave fumettistica. Geometricamente non si affronta il complesso monumentale nel suo insieme, snaturando l’insana maestosità delle volumetrie. E infine, ma non per gravità, solo un messaggio svuotato del tutto poteva trascurarne il contenuto: il grano è un simbolo irrinunciabile, oggi più che mai, soprattutto se associato a un luogo come il porto, chiave di volta dell’accoglienza. E allora? Viene in mente qualcosa a qualcuno? Purtroppo la finzione non corre solo in rete, sui social network. Il virtuale è appannaggio del potere. Oggi, il sociale, lo si condiziona con nulla.
Lei è andato via per motivi personali o perchè non trova spazi a Catania?
Non trovare spazio è un motivo personale. Anche se non è dovuto, lo spazio. Ho preso atto e sono andato a cercarlo altrove, prima che fosse troppo tardi. Non è una scelta facile, soprattutto dopo tanto tempo, e non è detto nemmeno che lo spazio lo si trovi altrove. Diciamo che sono riparato all’estero, luogo immaginario in cui è possibile sconoscere i retroscena di ciascuno, ciò di cui avevo bisogno.
Cosa andrebbe fatto, a suo avviso, per la ripresa della città?
Intanto si potrebbe cominciare con l’aprire gli occhi.
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